LIBERARSI DEL GIUDIZIO ALTRUI
Un articolo di Alessandro Carli
Dare un peso eccessivo a ciò che gli altri pensano di noi è probabilmente la prigione più robusta e pesante che possiamo creare per noi stessi.
Quando diventa un’ossessione, cosa molto più comune di quanto si possa credere, la paura del giudizio altrui ci toglie la capacità di valutare oggettivamente le situazioni che ci coinvolgono e di fare scelte oculate conseguenti a quelle valutazioni.
In altre parole, si passa dal valutare una data questione per quella che è a valutare noi stessi rispetto a quella situazione. Non è difficile intuire quale tipo di problema questo possa creare non soltanto nei diversi contesti sociali, ma anche e soprattutto sul lavoro: se, ad esempio, si sbaglia qualcosa, anziché entrare nel merito dell’errore, ci si mette in discussione come persone: è ciò che più si avvicina all’inferno sulla terra!
Siamo animali sociali che vivono ed operano all’interno di gruppi sociali ed è dunque normale avere a cuore il modo in cui ci si relaziona con gli altri e, soprattutto, l’impatto o l’influenza che esercitiamo gli uni sugli altri: diversamente, saremmo orsi, non esseri umani.
Non essere accettati ed approvati dagli altri può, in casi estremi, mettere a serio repentaglio non soltanto la nostra salute mentale, ma perfino la nostra stessa vita (prova ad immaginare che, per qualche motivo, nessuno voglia avere a che fare con te, nemmeno chi ti dovrebbe fornire il minimo indispensabile per la sussistenza…)! Questo fa capire che la paura del giudizio altrui parte da molto lontano ed è profondamente radicata in noi.
Come dicevo, però, è a dir poco rara l’eventualità che qualcosa del genere possa accadere in una società evoluta come la nostra… ma non significa che, allora, questa paura non abbia più motivo di esistere. Proprio perché la paura è di per sé irrazionale, altrettanto irrazionali saranno i nostri comportamenti.
QUANDO QUESTA PAURA DEVE COMINCIARE A FARCI… PAURA?
La paura del giudizio altrui si manifesta quando non abbiamo una visione ben definita di noi stessi, positiva o negativa che sia. Questo crea un “vuoto” (interiore) ed in natura ogni vuoto va colmato. Con cosa in questo caso? Con la visione che gli “altri” hanno di noi e che ci trasmettono: semplice.
Se negli anni abbiamo sviluppato una certa visione di noi stessi, non c’è alcun vuoto e, quindi, non c’è spazio per il giudizio altrui. Purtroppo, non è detto che la visione che abbiamo maturato negli anni su di noi sia positiva. Se, da piccoli, tutto quello che abbiamo ricevuto dagli adulti significativi (genitori, parenti, insegnanti, tutori, ecc.) sono critiche e rimproveri, questo non è un vuoto, ma sostanza (chiamate “carezze”… negative, in questo caso), e anche se qualcuno ci dovesse fare un sincero apprezzamento per chi siamo o cosa facciamo, non potremmo capirlo perché quella “carezza”, questa volta positiva, non avrebbe nella nostra mente lo spazio nel quale inserirsi e continueremo a portarci dietro la visione negativa di noi.
Non è granché, purtroppo, ma ai fini del tema di questo articolo, è sempre meglio che avere visione incerta di noi, poiché è questo a renderci vulnerabili al giudizio altrui: gli stiamo creando lo spazio. Questo succede quando da piccoli o da giovanissimi si ha interagito con adulti significativi che, sostanzialmente, non davano alcun feedback, si mostravano disinteressati, comunicavano poco e tantomeno guidavano. Questi giovani individui, diventati adulti, dipenderanno totalmente dal giudizio altrui, nel bene e nel male, e ne diventeranno schiavi.
E’ POSSIBILE RIMEDIARE?
L’insicurezza è certamente il sentimento prevalente in una persona vulnerabile al giudizio altrui e per superare questo disagio emozionale si focalizza molto sull’esteriorità, dacché l’interiorità è ovviamente traballante.
Non significa che chi dimostri una certa cura e ricercatezza dell’esteriorità sia suscettibile al giudizio altrui: può essere benissimo che lo faccia semplicemente per piacere a se stesso, per darsi valore aggiunto, per trasmettere una certa immagine di sé, ecc. Chi, però, si fissa quasi unicamente su questi aspetti potrebbe avere qualcosa da dover dimostrare. Ne è esempio l’eccessiva importanza data allo status quo, ovvero il perseguimento e l’ostentazione di cosiddetti “status symbol” (denaro, beni materiali in genere, posizione, affermazione, ecc.).
Tuttavia, si tratta soltanto di palliativi che non colmeranno mai davvero quel vuoto che impedisce a chi lo vive di essere veramente se stesso e di fare ciò che vorrebbe veramente.
Il bello dell’essere umano è che può sempre rimediare: salvo casi estremi, nessun sentiero è mai senza ritorno ed il solo requisito è quello di diventare consapevoli della propria situazione e di voler veramente uscire da questa gabbia invalidante sotto ogni punto di vista.
Nessuno ammetterà mai, soprattutto a se stesso, di essere schiavo di queste catene sociali, ma come dicevo, l’ossessiva ricerca di un modo di presentarsi positivamente agli altri è un forte indizio. Oltretutto, il risultato è quasi sempre quello di ricevere dei feedback negativi, poiché a nessuno piace l’ostentazione di chi deve dimostrare qualcosa e molto spesso facendolo cercando di minimizzare e mettere in cattiva luce gli altri.
Molto meglio lavorare su di sé, magari con l’assistenza di qualcuno che lo aiuti a trovare in sé la bellezza che nessuno gli ha mai fatto vedere e che c’è sicuramente:
– i suoi talenti
– le sue risorse
– i suoi desideri più elevati
– la ferma convinzione di rendere migliore questo mondo
Alla fine, l’esteriorità è sempre la proiezione, l’effetto, dell’interiorità ed il modo migliore per apparire al meglio è, e sempre sarà, quello di… essere.
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