LA COMUNICAZIONE COME CHIAVE DEL CAMBIAMENTO: UN APPELLO AL CORAGGIO E ALLA RESPONSABILITÀ
Un articolo di Pasquale Di Matteo
Viviamo un’epoca di tumulti che somigliano più a vere e proprie follie.
I venti di guerra soffiano con una forza preoccupante, amplificati da leader che sembrano più inclini a consolidare il proprio potere che a perseguire la pace. Non voglio parlare di perseguire il senno, poiché, visti certi comportamenti, non vorrei apparire blasfemo.
Nel frattempo, l’informazione, che dovrebbe essere il baluardo della democrazia, si è trasformata in un megafono della propaganda, così la società civile si trova intrappolata in un circolo vizioso di paura, rabbia e indifferenza.
Terroristi dell’Isis che vengono spacciati per democratici; presidenti americani che salutano amici immaginari e aprono le porte a scenari da romanzi thriller sulla reale gestione dell’America; elezioni democratiche che vengono cancellate se non vincono politici atlantisti…
Eppure, è proprio in tempi come questi che la comunicazione assume un ruolo cruciale: non come strumento di manipolazione, ma come leva per il cambiamento, il dialogo e la speranza.
LA CRISI DELLA COMUNICAZIONE
La crisi non è solo geopolitica o economica, ma è profondamente comunicativa.
La manipolazione delle narrazioni domina l’agenda pubblica, seminando paura e disorientamento.
I media, una volta guardiani del dibattito democratico, sono sempre più prigionieri di logiche commerciali e politiche, cioè dipendono dagli editori – aziende, banche, partiti politici – sacrificando la verità sull’altare dell’audience, dell’opportunismo politico o delle alleanze di potere.
Ma addossare tutta la colpa all’informazione sarebbe troppo comodo.
Un po’ come quando, al termine della Seconda Guerra Mondiale, sembrava che in Italia, a essere fascisti, non fossero più di quattro gatti. Si scoprirono tutti democristiani o comunisti.
La verità è che ogni dispotismo non può vivere se conta solo sui tifosi, ma diventa invincibile quando può controllare un’ampia maggioranza che teme per paura e per mancanza di coraggio.
Ogni cittadino è responsabile, perciò.
La pigrizia cognitiva e l’apatia morale alimentano un ciclo che si auto-rinforza: accettiamo versioni preconfezionate della realtà perché ci risparmiano lo sforzo di pensare criticamente ed evitano di esporci.
Tuttavia, così facendo, non siamo innocenti: o scegliamo di essere complici, o decidiamo di opporci con consapevolezza e azione. Astenersi significa complicità.
LAVORO, FUTURO, OTTIMISMO: UNA PROGRAMMAZIONE NECESSARIA
In un mondo in rapido cambiamento, un cambiamento che porta alla mentalità di guerra, come sostenuto ormai da più parti, compresi i vertici politici atlantisti, il lavoro e le dinamiche sociali offrono uno specchio delle nostre ansie e delle nostre aspirazioni che deve necessariamente mutare.
Parlare, scrivere, pianificare e pensare come fino all’altro ieri è fallimentare.
Il progresso tecnologico e la globalizzazione stanno ridisegnando il panorama occupazionale e qui l’ottimismo diventa un atto rivoluzionario.
Non un ottimismo cieco, ma un atteggiamento costruttivo che ci spinge a immaginare e costruire un futuro migliore, dove possiamo sfruttare le tecnologie per promuovere inclusione, educazione e sostenibilità.
Possiamo creare nuovi modelli di lavoro che mettano al centro la dignità umana e il benessere collettivo, in netto contrasto con quanto proposto dai vertici del potere.
Come spiegato poco sopra, infatti, il potere non può vincere solo con i tifosi, ma deve contare sulla maggioranza che ha paura. Se tale maggioranza smette di avere paura e si spende in prima persona per costruire un mondo che vada in direzione contraria a quanto auspicato da chi comanda, il potere passa di mano, come ci insegna la storia.
Occorre avere il coraggio di dire ai giovani che studiare materie tecniche va bene, ma solo con la consapevolezza che la loro vita sarà un continuo studiare per adeguare le competenze acquisite in tre, quattro, dieci lauree ingegneristiche, per non essere spazzati via da AI e robot.
Sostenere che esistano diplomi che offrono un lavoro è utopia e porta INEVITABILMENTE a morire sotto i ponti.
Ditelo ai ragazzi e salvate il loro futuro.
LA COMUNICAZIONE COME MOTORE DI SVOLTA
Il cambiamento deve partire dalla comunicazione.
Comunicare significa costruire ponti, creare spazi per il confronto, favorire l’empatia, indicare a chi comanda il proprio assenso o dissenso.
E, poiché non è possibile non comunicare, anche non dire e non fare niente comunica complicità.
Non possiamo permettere che il dibattito pubblico sia monopolizzato da chi urla più forte o da chi manipola meglio le emozioni, le narrazioni, la geopolitica, le politiche del lavoro.
Abbiamo bisogno di giornalisti, intellettuali e cittadini che abbiano il coraggio di porre domande scomode e di mettere in discussione le narrazioni dominanti.
Ma abbiamo bisogno anche di professionisti e imprenditori che abbiano la maturità e la consapevolezza di non essere adolescenti, ma adulti che hanno l’enorme responsabilità di dare un futuro ai giovani che non siano missili e filo spinato, ma opportunità di crescita, culturale e di benessere.
La comunicazione non è solo parola; è azione.
Parlare di pace, giustizia e sostenibilità non è abbastanza: dobbiamo tradurre queste idee in politiche, fatti, comportamenti, denunce sistemiche e continue, iniziative e movimenti concreti.
Ogni post sui social, ogni conversazione e ogni gesto quotidiano può contribuire a costruire un nuovo paradigma.
Così come il silenzio e il far finta di nulla aiuta il potere con una becera codardia che è complicità di fatto.
NON ESISTE NEUTRALITÀ: O SEI CONTRO O SEI COMPLICE
“Non esiste neutralità”.
Questa affermazione è una provocazione e un invito.
Ogni scelta, ogni silenzio e ogni azione ci collocano su uno dei due lati della barricata: o siamo complici dello status quo, oppure siamo agenti di cambiamento.
Denunciare l’ingiustizia non è solo un dovere morale. Non è solo indice di cultura e di maturità, nonché di spessore personale. È una forma di resistenza contro l’omologazione e l’indifferenza.
Non possiamo continuare a vivere come se nulla stesse accadendo, postando sorrisi e frasi da Chat GPT su ottimismo, business e altre sciocchezze che fanno parte di un mondo spazzato via da mesi.
Ignorare i problemi e far finta che il mondo sia ancora quello di ieri, non li risolve; li aggrava.
Abbiamo bisogno di un risveglio collettivo, di una presa di coscienza che superi gli egoismi e le paure.
Abbiamo bisogno di coach e leader con le palle e non che raccontino le solite palle. Leader veri e non a parole.
Il cambiamento non può essere imposto dall’alto; deve essere costruito dal basso, attraverso il coinvolgimento attivo di ognuno di noi.
Il futuro non è scritto.
Sta a noi decidere se vogliamo continuare a essere spettatori passivi o protagonisti consapevoli. La comunicazione è il nostro strumento più potente: usiamola per costruire ponti, abbattere muri e immaginare nuove vie. Per denunciare, proporre, lanciare nuove idee, accendere i riflettori sulle tante contraddizioni…
La storia ci insegna che ogni grande cambiamento è iniziato con il coraggio di pochi.
Siate tra quei pochi e non i tanti che si nascondono per paura.
Denunciate, dialogate, costruite, lanciate idee diverse, opponetevi.
Non abbiate paura di essere controcorrente.
Solo così possiamo sperare in un mondo migliore. E, soprattutto, ricordate: il silenzio è complicità.
La parola è resistenza. Il cambiamento è possibile solo se si preferisce il coraggio alla paura.
Ecco, questo è l’augurio più grande e sentito che io porgo a ciascuno di voi per le prossime Feste. Ai colleghi e agli amici di EVE quanto ai lettori.