PERCHÉ NON SI PUÒ EVITARE DI FALLIRE
Un articolo di Alessandro Carli
Cos’hanno in comune il fallimento e la morte? Sono entrambi inevitabili.
E se non soltanto sono inevitabili, ma ci riguardano tutti indistintamente, che senso ha averne paura?
Se morte è fallimento sono certi, la vita (o meglio, la qualità di vita) ed il successo non lo sono per niente.
E questo ci terrorizza, poiché di fatto è tutta una scommessa, la cui posta in gioco è enorme.
Tuttavia, qual è l’alternativa? Una vita grigia e la certezza del fallimento?… Già, perché in nessuno dei due casi è contemplato il forfait e decidere di non partecipare (più) al gioco non ci pone al di fuori di esso.
Come ho avuto più volte modo di dire, al nostro ego non gliene frega una cippa fritta della nostra felicità. Il suo compito è solo quello di assicurare la nostra sopravvivenza e lo svolge dannatamente bene. Perseguire la felicità, qualunque cosa significhi per ognuno di noi, è un compito nostro, non del nostro ego, e quando decidiamo di vivere col pilota automatico inserito verso una destinazione ignota, indovina chi è ad assumere veramente tutto il controllo?
Nessuno nasce con la paura di fallire e i bambini (quelli a cui non sia stata ancora macellata la mente, almeno) si divertono perfino a provare e riprovare a vincere a qualsiasi gioco stiano facendo. Certo, s’incavolano di brutto quando stanno perdendo, ma incavolarsi non è sempre una cosa negativa, anzi: significa aver messo bene a fuoco un obiettivo che si vuole raggiungere e questa è la giusta premessa per il successo.
E poi, certo, ci sono anche quei bambini che quando stanno perdendo, rinunciano. Anche la frustrazione, però, se ben gestita (da adulti responsabili) può essere usata per stimolare la competizione con se stessi.
Se, allora, non è il fallimento in sé a farci paura, perché ci paralizza così tanto?
Perché esiste una serie di paure che la prospettiva di un possibile fallimento attiva. Vediamo alcune delle più importanti tra queste.
La paura di non valere (abbastanza) – Qui si va a toccare, ovviamente, l’autostima ed il tutto inizia spesso fin dalla più tenera infanzia, quasi sempre con genitori con problemi di autostima a loro volta che, anziché incoraggiare i loro figli, vomitano loro addosso le loro insicurezze e frustrazioni “incitandoli” a fare di meglio. Perché mai, crescendo, questi individui dovrebbero essere invogliati a dare del loro meglio quando nessuno li ha aiutati a vederlo? Non sanno se valgono davvero e non sono certo ansiosi di scoprire ciò che temono di poter scoprire.
La paura delle conseguenze – “Cosa potrebbe succedermi se fallisco?”, si chiedono… non certo “Quali cose meravigliose mi accadranno quando avrò vinto?”. Ogni risultato produce delle conseguenze, ad ogni livello (materiale, emotivo e mentale), quindi questa è una paura che certamente si materializza e, per questo, è così paralizzante.
La paura della critica – Questa è senza dubbio la paura più feroce e debilitante, ritenendo che solo gli altri possano sapere chi si è e quanto si valga veramente. La verità è che se non mi fido di me stesso, quanto impegno e fede metterò veramente in ciò che faccio? E quali risultati potrò mai produrre? Come verranno giudicati? E soprattutto, come verrò giudicato io? Sul serio vorrò infilarmi in questo tunnel? Della serie, chi diavolo me lo fa fare?
Non esistono “cure” per superare queste paure, ma solo dei percorsi capaci di cambiare alcuni schemi mentali debilitanti, se non addirittura autosabotanti. Tuttavia, ecco alcuni suggerimenti per fare un po’ di lavoro su se stessi.
Rispetto alla paura di non valere – Il pensiero è così potente da farci credere che ciò in cui crediamo sia la sola verità possibile e tale convinzione è supportata da riferimenti che o ci vengono inculcati o che ci raccontiamo (ad es. “Non valgo nulla perché in terza media mi hanno bocciato”). Invece, di focalizzarti su episodi demoralizzanti della tua vita, scegli quelli esaltanti (ad es. “Quando giocavo a calcio con gli esordienti ho fatto il gol che ha fatto vincere il campionato alla mia squadra!” o “Quando mia nonna stava male, le sono stato vicino e lei mi ha detto che è guarita anche grazie al mio amore.”). Perché gli episodi negativi della nostra vita dovrebbero avere più valore di quelli positivi? È solo una scelta, alla fine.
Rispetto alla paura delle conseguenze – Per default, il nostro ego ci fa focalizzare su tutto ciò che di negativo può accaderci. Più o meno consciamente, cominciamo a farci domande tipo: “Cosa potrebbe succedermi se dovessi fallire?”. Cosa succederebbe, però, se tu forzassi il meccanismo facendoti domande tipo: “Quali cose meravigliose mi accadranno quando deciderò di dare comunque il meglio di me, contro ogni previsione?”. Diverso, no?
Rispetto alla paura della critica – Devi imparare a riconoscere una critica distruttiva da una costruttiva. Una critica distruttiva è diretta a qualcuno, non a ciò che fa, e non vengono forniti i motivi, se non vaghi, per cui tale critica viene fatta: ignorale, poiché non riguardano te, ma solo chi critica. Una critica costruttiva, invece, non è mai diretta a qualcuno, ma a ciò che fa. In tal caso, vai da chi ha criticato il tuo operato, dandoti spiegazioni che entrino nel merito, e ringrazialo poiché ti ha fatto un dono.
Basta davvero poco per ricontestualizzare certe situazioni, in quanto siamo veramente soltanto noi a dar loro un determinato significato. Scegli dunque il significato che può aiutare la tua crescita e lascia perdere tutto il resto.
T’invito a guardare un video (poco più di 6″), “𝙋𝙧𝙤𝙘𝙚𝙨𝙨𝙤 𝙫𝙨 𝙎𝙤𝙡𝙪𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚” per capire meglio il primato del processo sulla semplice, e quasi sempre fuorviante, rincorsa alla soluzione.
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