Barriere all’export : conoscerle per poterle affronta
Un articolo di Davide Crisci
Il concetto di barriere di entrata in un mercato fa riferimento al tema dell’accessibilità ai mercati internazionali da parte delle imprese, e rappresenta un elemento estremamente rilevante e attuale nella pianificazione e attuazione di una strategia export vincente.
Infatti, elemento fondamentale di qualsiasi modello di integrazione economica – zona di libero scambio, unione doganale, mercato comune – è appunto l’eliminazione degli ostacoli agli scambi.
In questa accezione le barriere sono da intendersi come fattori che rendono difficile l’entrata su un certo mercato ad una nuova azienda ovvero i costi fissi che i nuovi entranti devono sostenere indipendentemente dalla produzione o dalle vendite per poter accedere a quello specifico mercato.
Quali sono le principali barriere di entrata?
Tradizionalmente le barriere sono distinte in tariffarie – quando impongono tariffe o tributi, quali i dazi doganali- e non tariffarie.
Se le prime sono facilmente identificabili, classificabili e, quindi, “misurabili” in termini di impatto sui costi dei propri prodotti o sulla competitività della propria offerta – i dazi all’importazione sono definiti nei loro criteri di applicazione, nelle modalità e nella loro quantificazione dal Consiglio Europeo e consultabili liberamente nella piattaforma TARIC (Tariffa integrata comunitaria) -, con l’espressione “barriere non tariffarie” si fa riferimento ad ogni forma di ostacolo protezionista al commercio diversa dai dazi.
In questa categoria rientrano molte misure diverse fra loro, comprese barriere culturali, linguistiche, sociali, eccetera e non è facile fare chiarezza sulle varie tipologie al loro interno anche perché tali barriere possono avere forme diversificate e cambiare velocemente; di particolare rilevanza le restrizioni quantitative, quali i contingentamenti – misure di limitazione quantitativa di determinati beni che possono essere importati in un paese applicate e regolate dalle Autorità del paese importatore – e le limitazioni volontarie all’esportazione – barriere poste in essere sotto il controllo del paese esportatore -, le barriere tecniche – quali gli standard, ossia requisiti di conformità dei prodotti a normative – , le barriere tecnologiche – intese come la mancanza da parte dell’Impresa del paese esportatore della tecnologia necessaria ad entrare in un canale/nel mercato estero -, o le barriere strategiche – insieme di comportamenti intenzionalmente posti in essere dalle imprese presenti in un Mercato con l’intento di escludere nuovi potenziali concorrenti – .
Tuttavia, proprio perché le barriere non tariffarie sono difficilmente classificabili e definibili, possono influire più negativamente delle barriere tariffarie e più pesantemente da un punto di vista economico, e soprattutto possono incidere anche in termini di limitazioni allo sviluppo commerciale, di mercato, di crescita dell’economia, di freno all’innovazione e al progresso tecnico e tecnologico, è non solo necessario che ogni operatore economico impegnato nei mercati esteri ne abbia cognizione ma diviene fondamentale che ne comprenda la ratio, ossia la motivazioni per le quali esse vengono poste in essere.
Questa logica alla base dell’applicazione delle barriere è infatti la scriminante tra barriera come ostacolo e barriera come opportunità di mercato.
Se la barriera è il frutto di politiche protezionistiche dei paesi importatori verso le proprie produzioni interne o di comportamenti di concorrenza sleale di aziende verso i newcomers competitor, sicuramente l’azienda che valuta nuovi mercati target deve considerare la stessa quale punto critico; se la barriera rappresenta una misura di tutela dei consumatori, della qualità e della sicurezza dei prodotti – come nel caso delle cd. Barriere tecniche- , il processo di adeguamento ai requisiti richiesti per l’entrata in un mercato può rappresentare un’opportunità di scale up del prodotto e del segmento di vendita nel quale essere posizionato.