GESTIRE E SUPERARE LE RESISTENZE

Un articolo di Alessandro Carli

Prima di entrare nel merito della gestione delle resistenze è bene capire cosa siano, da dove vengono, come si formano e perché.

Ognuno di noi è dotato di un potere personale immenso ed il motivo per cui la spropositata maggioranza di noi stenta a vederlo è che non solo non sappiamo come attingervi, ma peggio ancora, non abbiamo idea di cosa sia. È evidente: per trovare qualcosa, occorre prima sapere cosa si sta cercando.

Detta in soldoni, il “potere” è semplicemente la capacità di realizzare ciò che si vuole. Il suo contrario è ovviamente l’impotenza, cioè l’incapacità di realizzare ciò che si vuole. Tuttavia, esiste anche una versione più subdola del contrario di potere, che è la resistenza, cioè la capacità di opporsi a ciò che NON si vuole.

Non è difficile riconoscere l’impotenza: la persona che si trova in quello stato fatica da una parte a capire e riconoscere la migliore strategia per raggiungere il suo obiettivo e, dall’altra, ad attivarsi in modo convinto, deciso e focalizzato per realizzare ciò che vorrebbe (uso specificamente in condizionale).

La resistenza, d’altro canto, è più difficile da riconoscere per chi non capisce certe dinamiche, abituati come siamo a giudicare la realtà dalla sua esteriorità. La resistenza può essere molto veemente, perfino rabbiosa e violenta (stati emotivi tipici della frustrazione), dando l’idea di avere molto potere. In realtà, è debole perché il suo potere consiste unicamente nel respingere ciò che non vuole.

Nella storia moderna dell’Occidente ci sono state tre grandi rivoluzioni: quella americana, quella francese e quella russa. Le rivoluzioni sono per loro natura una forma di resistenza attuata da un popolo che decide di opporsi ad una classe governante ritenuta, a torto o ragione, tirannica. Tuttavia, quella americana ha avuto una sorte diversa da quelle francesi e russe. Perché?

La rivoluzione americana è partita certamente da una resistenza, ma nei confronti di una nazione, quella inglese che, pur condividendone l’origine, era ormai vista come oppressiva per il popolo. È stata quindi una rivoluzione finalizzata alla liberarsi di un “corpo” ritenuto ormai estraneo ed il popolo americano era animato da valori nazionalistici molto potenti che sono poi stati trascritti su quella che è senza dubbio una delle Carte Costituzionali più belle della storia mondiale.

Gli inglesi erano considerati “nemici” in quanto ostacoli alla realizzazione di una visione di nazione unica al mondo, diventata poi un faro di libertà per altri popoli (cosa ne penserebbero Washington, Franklin o Jefferson di ciò che è diventata l’America da qualche decennio a questa parte, non ne ho idea… ma questo è un altro discorso).

La rivoluzione francese prima e quella russa poi hanno invece avuto una storia molto diversa. Intanto sono state tutte interne, quindi sostanzialmente fratricide; poi, mentre in America è stato l’intero popolo a sollevarsi spontaneamente contro l’oppressore, in Francia e in Russia si è trattato di piccoli gruppi che, approfittandosi dell’indubbio profondo disagio materiale e sociale nei rispettivi paese, hanno saputo coalizzare il malcontento per rovesciare i governanti tiranni… ma non hanno creato niente, poiché lo scopo era la resistenza in sé e per sé che ha opposto il popolo per uscire da una situazione che NON VOLEVA più, cioè l’ingiustizia e l’ineguaglianza.

Risultato? La Francia si è ritrovata un imperatore dopo pochi anni e l’Unione Sovietica ha dato vita ad una delle più longeve e feroci dittature che la storia abbia mai conosciuto.

Queste sono le conseguenze della resistenza quando non è spinta da un potere reale che persegue ciò che vuole.

Il motivo di questo lungo, ma a mio avviso necessario preambolo è che nella nostra realtà, tutto si replica su vari livelli. Ciò che succede nel micro avviene anche nel macro e viceversa. Le modalità cambiano certamente, ma le dinamiche sono esattamente le stesse.

Licenziarsi perché non se ne può più del proprio lavoro è resistenza. Licenziarsi per immergersi in qualcosa che c’ispira e ci motiva è potere (almeno potenziale).

Sposarsi perché si è stufi di essere single è resistenza (apparentemente si va verso qualcosa, ma in realtà è una fuga da qualcosa), mentre impegnarsi per creare la famiglia che sogniamo è potere.

È facilissimo cadere nel tranello della resistenza e le conseguenze si presentano solitamente nel lungo termine con tassi d’interesse molto alti, come insegna la storia. Per questo è importante capire da dove vengono le nostre decisioni e per aiutarti, posso darti questi input.

Non ignorare le tue emozioni – Anche la resistenza ha il suo perché. Ti sta comunicando qualcosa e, soprattutto, ti consente di riconoscere cosa stia accadendo veramente dentro di te attraverso le emozioni che provi. Non ignorarle perché, facendolo, apri le porte ad una resistenza più perniciosa. Prendendone atto, invece, hai la possibilità di costruire qualcosa di autenticamente alternativo.

La resistenza può guidarti – Fermo restando che la resistenza non è potere, resta comunque un forte segnale che indica un disallineamento più o meno pronunciato tra ciò che accade e il tuo sistema di valori. Se, ad esempio, hai l’onestà come valore di riferimento e qualcuno cerca di corromperti, proverai resistenza e se resti fedele al tuo valore, hai modo di restare allineato con esso.

Considera la resistenza come il possibile inizio di qualcosa di nuovo – La resistenza produce staticità fisica, emotiva e mentale ed è uno stato del tutto antisistemico che produce disagio e non è sostenibile. Per uscire da questa staticità, interroga la tua resistenza, cerca di capire cosa la sta provocando e verifica se non ci sia qualcosa di positivo in essa. Così ristabilisci la dinamicità.

Alessandro Carli

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