ETERNAMENTE MOTIVATI
Un articolo di Alessandro Carli
È possibile vivere in uno stato di eterna motivazione?
Teoricamente sì.
Perché “teoricamente”? Perché sono molti i fattori che incidono sul nostro stato mentale ed è difficile far fronte a tutti ed in ogni momento.
Tuttavia, se impariamo a capire alcune semplici dinamiche, non si può dire che sia aprioristicamente impossibile.
Per rendere l’articolo semplice, eviterò d’impelagarmi nei meccanismi biochimici che determinano i nostri stati d’animo: mi limiterò a spiegare quali siano gli atteggiamenti da evitare e quelli da preferire, atteggiamenti come sempre semplici sulla carta, ma un po’ più ostici da mettere in pratica a causa della nostra natura.
Nel suo libro, “Stati della Mente, Stati del Cervello” (ed. Giunti, 1990), il neuroscienziato americano Michael S. Gazzaniga spiega i meccanismi della depressione e, stringendo molto il senso del suo scritto sul tema, sostiene che sono due le condizioni necessarie per indurre uno stato di depressione: pensieri egocentrici (io, io, io… la mancanza di gratificazione favorisce questo stato) e senso d’impotenza, cioè non riuscire a trovare una via d’uscita da una situazione indesiderata.
Da sole, queste condizioni possono portare ad uno stato di sconforto o abbattimento, ma difficilmente riescono a generare una situazione critica. Insieme, però, sono una miscela esplosiva, anche perché si alimentano a vicenda in una spirale terrificante.
Ammettiamo che tu venga licenziato. A quel punto, cominci a pensare: “E ora cosa farò (io)?… Dove vado (io) a trovare un altro lavoro?… Perché doveva capitare proprio a me?…”, ecc. Quando ci viene tolto qualcosa che, direttamente o indirettamente – come in questo caso – ci toglie ciò che contribuiva a qualche forma di gratificazione (sostentamento, serenità familiare, sicurezza, ecc.), subentrano i pensieri egoistici.
È normale che sia così, altrimenti faremmo spallucce in attesa che ci piova addosso un altro lavoro. I pensieri egoistici, che in questo caso sono sani, ci spronano invece a cercare una soluzione. Senonché, dopo aver provato e riprovato a trovare un altro lavoro, non succede niente e, ad un certo punto, subentra un malefico senso d’impotenza che rafforza i pensieri egoistici, alimentando una pericolosa spirale viziosa discendente.
Ti starai chiedendo per quale motivo si parli di depressione in un articolo dedicato alla motivazione, giusto?
Ebbene, se la motivazione è uno stato mentale opposto a quello della depressione, ha senso che, attivando due modi di pensare anch’essi opposti a quelli che producono la depressione, si tenderà a sentirci più motivati?
In realtà, questo non c’era scritto nel libro, ma ci sono arrivato per logica e ho calato questa ipotesi sia su di me sia sulle persone che si rivolgevano a me per un training/coaching.
Non è scienza nucleare, in realtà. Attivando consciamente delle dinamiche di rinforzo virtuose, partendo dall’imporsi pensieri altruistici e focalizzandosi quindi su ciò che si ha il potere di fare, lo stato mentale cambia per forza.
Nel 2003 e poi nel 2009 abbiamo avuto crisi economiche piuttosto pesanti e molti imprenditori hanno deciso di chiudere la loro attività, incuranti del fatto che avrebbero mandato a casa decine o centinaia di persone.
“Chi me lo fa fare di tenere aperta l’attività?… Non mi conviene continuare!… Devo realizzare il più possibile perché aspettando perdiamo sempre più valore… Ho fatto tutto il possibile…!”
D’altro canto, altri hanno fatto un diverso ragionamento, ispirati da considerazioni del tutto diverse. Non riuscendo proprio a sopportare l’idea di rovinare intere famiglie, il focus si è spostato dalle conseguenze di tenere aperta l’attività alle conseguenze che avrebbero subìto centinaia di persone.
In questo modo, non sentendosi personalmente coinvolti, ma preoccupandosi per altri, hanno liberato potenti ed inaspettate energie mentali proprie che hanno consentito loro di escogitare strategie più efficaci e vincenti per superare la crisi, come di fatto è successo.
Il coaching (ma anche la consulenza) si basa su questo stesso principio. Perché funziona? Perché il cliente è un idiota e il coach è un genio? Certo che no!… Perché il cliente è focalizzato sul problema che deve risolvere (quindi attiva pensieri “egoistici”), mentre il coach, vivendo da lontano la situazione, quindi non in prima persona, riesce a vederla più chiaramente e, grazie anche alla sua esperienza, può individuare le soluzioni più opportune.
Quando parlo di pensieri egoistici o altruistici non mi riferisco ad essi in senso moralistico, ma proprio funzionale. Tutti siamo capaci di entrambi questi pensieri, ma diventare consapevoli di quando attiviamo i primi piuttosto che i secondi, ed agendo poi di conseguenza per correggerli, può veramente portare il nostro stato mentale a tutt’altri livelli, essendo molto più consci delle risorse che abbiamo (senso di potere) per superare anche le situazioni più difficili.
Sentirsi motivati non dipende dal carattere o da un atteggiamento vagamente ottimistico e spesso inconsistente, bensì da un preciso modo di pensare e di rapportarsi con la nostra realtà.
E ora, trova la risposta a questa domanda marzulliana: “È l’essere in controllo a renderci più motivati o siamo più motivati quando siamo in controllo?”
Se proprio non hai altro da fare…
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