IL POTERE DELLE PAROLE

Un articolo di Pasquale Di Matteo

Durante l’ultima campagna elettorale prima dell’elezione del nuovo sindaco della città in cui risiedo, mi sono imbattuto in un’intervista televisiva a tutti i candidati, ospiti di un’emittente locale.

Quattro candidati avevano atteggiamenti comuni, di quelli che passano inosservati. Erano vestiti come impiegati di banca, individui che potevi trovare in qualunque ufficio, con il classico sorriso stampato sulla faccia e la stretta di mano tritasassi, come consigliata da quelli che definisco i “bimbiminkia” della comunicazione.

Altri due, invece, me li ricordo perché sintetizzavano tutto quanto non si deve fare per comunicare al meglio ed essere ricordati.

Braccia conserte durante le risposte, lunghi silenzi prima di rispondere alle domande, pause interminabili tra una frase e l’altra, sguardo sul pavimento.

Tizi che prendo sempre come esempio quando spiego come non comunicare.

A emergere in quell’intervista furono il vicesindaco uscente, che poi vinse le elezioni, e un candidato dell’opposizione che partiva con un distacco enorme dal primo partito cittadino, ma che ottenne un risultato molto positivo nelle urne. Guarda caso…

Entrambi indossavano abiti dai colori contrastanti (pantalone chiaro e giacca scura), rispondevano sempre con il sorriso e l’aria di chi è ben felice di spiegare come risolvere i problemi ai cittadini.

Il primo parlava con calma e risolutezza, elencando le cose buone fatte dall’amministrazione uscente come se avesse cancellato anche la fame nel mondo, il secondo si esprimeva con termini forti, con grande trasporto, per elencare i fallimenti di quelli che avevano governato fino ad allora, come se i cittadini fossero tutti agli angoli delle strade a chiedere l’elemosina.

Fioccavano termini importanti, tra cui: ignoranza, stupidità, criminale…

Termini associati a leggi approvate e a emendamenti bocciati. Talvolta, detti con un sorriso, come a voler far passare il messaggio che non si trattasse proprio di un’offesa. Un po’ alla Silvio Berlusconi, per intenderci, che nell’adulare e nell’offendere con il sorriso era un maestro di comunicazione.

Le parole, d’altronde, sono le armi del politico e sono pronte a conquistare il cuore e la mente degli elettori.

Uno puntava sulla tranquillità e sulla fiducia, con il sorriso radioso e la voce calma, pronto a rassicurare gli elettori incerti. Ogni aspetto era studiato per dimostrarsi sicuro e calmo, dovendo rappresentare, di fatto, la continuità con l’amministrazione uscente.

Dall’altra parte del ring politico, il rappresentante del principale gruppo di opposizione prendeva di petto l’opportunità di sfidare lo status quo. Con fervore e passione, mettendo in luce le lacune dell’amministrazione uscente, trasmettendo un messaggio di cambiamento urgente e necessario, per cavalcare l’insoddisfazione di parte dei cittadini.

Entrambi i candidati, pur adottando approcci diametralmente opposti, dimostravano una comprensione profonda del potere delle parole nella comunicazione efficace. La loro capacità di intercettare e coinvolgere il pubblico rifletteva una consapevolezza acuta dell’importanza di adattare il messaggio al proprio target di elettori.

 

Eppure, l’applicabilità di queste lezioni non si limita al teatro politico.

Nell’era digitale, dove la comunicazione si snoda attraverso i fili invisibili dei social media, il valore delle parole è più rilevante che mai.

Come professionisti o rappresentanti di aziende, siamo chiamati a navigare tra le correnti in continuo mutamento del panorama digitale, adattando il nostro linguaggio al pubblico che desideriamo coinvolgere.

La saggezza radicata nella provocazione diventa una freccia al proprio arco di fondamentale importanza nella nostra strategia comunicativa.

Introdurre contenuti divisivi e stimolanti su base regolare può fungere da catalizzatore per l’engagement, alimentando il dibattito e generando un interesse vibrante attorno al nostro marchio o alla nostra persona.

Perché, se ci fate caso, il web è pieno di guru pronti a spiegarti come fare ogni cosa, perfino ragazzini che a stento hanno terminato le superiori.

I loro messaggi diventano sempre più scontati, ripetitivi e copia e incolla di contenuti di altri, perciò le persone cominciano a scorrere, preferendo passare oltre, senza soffermarsi su quei post, e cercano sempre di più professionisti capaci anche di intrattenere al di là della mera specifica competenza.

Ecco perché è attraverso la sfida e la controversia che possiamo distinguerci nella cacofonia digitale, per attrarre l’attenzione e costruire un seguito devoto.

L’eleganza e il rispetto devono permeare ogni nostra interazione, anche quando ci affidiamo a linguaggi forti e opinioni incisive, anche se la distinzione tra franchezza ed esagerazione è sottile e molti non conoscono davvero il significato delle parole.

Tuttavia, a parità di prodotto, servizi e brand, il cliente sceglierà sempre quello che lo fa sentire a casa, quello che intercetta il suo modo di esprimersi, di essere e di pensare, quello che sembra più importante, più forte, più determinato. Quello dall’immagine più rassicurante.

E, da che esiste il mondo, l’immagine più rassicurante è quella degli individui che non hanno paura di esprimersi, di gonfiare il petto, di sollevare il mento.

E, lo ripeto, quelli che non prendono mai posizione, sperando di non inimicarsi nessuno, non creano pubblici davvero affezionati, ma solo seguiti pronti a scegliere il primo competitor con un’immagine più forte.

 

Un esempio lampante?

Vittorio Sgarbi e Philippe Daverio, due straordinari professionisti del mondo dell’arte.

A mio avviso, Daverio era superiore a Sgarbi per diverse dinamiche, eppure, le persone conoscevano, e conoscono, di più Sgarbi rispetto a Daverio proprio per la sua comunicazione “esagerata”.

Addirittura, Daverio era sconosciuto da tanti individui che non seguivano il mondo dell’arte.

Era più riservato, si sbilanciava molto meno, ed è ricordato, guarda caso, più per la sua immagine eccentrica, fuori dal comune, che per le sue competenze artistiche.

Vittorio Sgarbi, invece, lo conoscono tutti.

Certo, hai ragione, molti lo ricordano per la sua rissosità e per il carattere insopportabile, ma è grazie a quell’immagine che è diventato ciò che è, staccando tanti altri suoi validi colleghi che nessuno ricorda.

E, proprio per quell’immagine, nel suo campo è considerato molto più in gamba di tanti altri che non sono da meno.

 

Il successo dipende dalla capacità di padroneggiare l’arte delle parole e dell’immagine del proprio brand, oggi più che mai.

 

Attraverso una comunicazione efficace, puoi plasmare l’opinione pubblica, mobilitare le masse e lasciare un’impronta indelebile nel web, che tu sia un musicista, produca patatine, costruisca case od offra servizi.

 

Oggi vince chi è protagonista della propria narrazione, chi è maestro nell’esprimersi con fermezza e autenticità.

 

Certo, il successo porta anche ad avere tanti nemici, per antipatia, per invidia, per frustrazione, ma pensi che Briatore, Bill Gates, Mario Draghi e tanti altri uomini di successo piacciano a tutti?

Allo stesso tempo, credi che possano preoccuparsi perché miliardi di persone li detestano o non sanno nemmeno chi siano?

Come dico sempre, perfino Dio non supera il miliardo di devoti, perché dovresti fare meglio tu?

Il web è come un ring, dove tutti sono contro tutti, perciò costruisci un’immagine forte, altrimenti qualcun altro lo farà al posto tuo.

 

Perché qualcuno dovrebbe scegliere proprio te, se comunichi come tutti gli altri e vuoi piacere a tutti?

Pasquale Di Matteo

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