La caccia al capro espiatorio

Un articolo di Veronica Spinella

 

Frequentemente, le leadership in molte organizzazioni tendono a ingaggiare la caccia al capro espiatorio in particolar modo durante le fasi critiche o di transizione o a farlo diventare quasi una pratica giornaliera.

Invece che affrontare risolutamente le difficoltà, i dirigenti possono scivolare nei tranelli di accusare figure siano essere interne che esterne, ossia basta che siano di comodo.

Questa pratica non solo devia l’attenzione dalle reali problematiche, ma erode anche la fiducia e l’unità all’interno della stessa organizzazione.

Quando i Proprietari di azienda, dirigenti, le figure che dovrebbero incarnare i principi dello loro stessa organizzazione e guidare con il proprio esempio, si avvalgono di questa strategia, non solo colpiscono il morale dei lavoratori, ma evidenziano anche una scarsa sicurezza nelle loro competenze di leadership e non.

La mancanza di una sincera autoanalisi e di consapevolezza è uno dei maggiori punti deboli di una persona al vertice di una organizzazione che si abbandona alla caccia alle streghe: al posto di mettersi in discussione, farsi domande anche scomode e analizzare e ammettere i propri sbagli, tende a incolpare solo e soltanto gli altri. Questo metodo non solo nasconde le vere sfide, ma impedisce anche alla persona in questione di evolvere e migliorarsi. Un altro elemento critico è l’incapacità di instaurare una cultura di responsabilità condivisa. Al posto di incentivare la collaborazione e la presa di responsabilità ad ogni livello, la stessa persona che cerca capri espiatori favorisce un clima di terrore e diffidenza, in cui i lavoratori sono più incentrati a evitare l’onta piuttosto che a contribuire attivamente al trionfo dell’istituzione.

Le ripercussioni di questa modalità di leadership possono essere serie e durature e non solo da un punto di vista societario ma anche professionale ed umano.

In aggiunta, una persona preposta a dirigere e gestire un’organizzazione in toto o solo in parte che non si concentra sui problemi organizzativi interni della sua azienda, preferendo focalizzarsi sui capri espiatori, contribuisce all’immobilità dell’impresa, rendendola meno all’avanguardia e incapace di aggiustarsi alle fluttuazioni del mercato.

Se poi è la stessa Proprietà che innesca questo meccanismo, non possiamo che aspettarci tendenzialmente una replica specchiata di questo tipo di atteggiamento.

Per sfuggire a tale insidia, è necessario che, a partire proprio da quest’ultima, ci sia un impegno serio e duraturo in un percorso di miglioramento sia a livello personale che professionale. Un’azione iniziale è quella di potenziare l’autoconsapevolezza, ammettendo le proprie carenze e accettando la possibilità di sbagliare, cosa del tutto umana. Questo comporta umiltà e disponibilità a trarre insegnamento dagli errori, al posto di nasconderli o incolpare terzi.

Questo tipo di approccio, se ben gestito e supportato, porta anche a una auto analisi sulle proprie competenze e un porsi la domanda se si sia o meno in grado ancora di tenere le redini o pensare di affiancare una nuova risorsa per un passaggio di consegne. Quest’ultima opzione non deve essere vissuta come una sconfitta ma con orgoglio e fierezza per aver dato il proprio contributo fino a quando è stato utile e favorire, in ottica di proseguimento strategico, il rafforzamento di un posizionamento futuro della propria stessa organizzazione.

Successivamente, è essenziale instaurare una cultura della responsabilità collettiva. I dirigenti devono fare da esempio, dimostrando che gli insuccessi sono occasioni di crescita piuttosto che motivi di sanzione. Questo può essere ottenuto favorendo una comunicazione aperta e onesta, in cui ogni componente dell’organizzazione può esprimere liberamente le proprie idee e timori senza il terrore di ritorsioni.

 

In questo contesto, le figure professionali come formatori, consulenti e coach svolgono un ruolo cruciale. Questi specialisti possono supportare l’intera Organizzazione, Proprietà e dirigenza inclusa, nel superamento delle proprie fragilità e nello sviluppo delle capacità necessarie per essere veri leader, apprezzati per le loro competenze nel guidare e motivare, e non accettati solo per il loro ruolo o posizione aziendale.

I coach, ad esempio, possono assistere nello sviluppo di empatia e skill di ascolto, aspetti chiave per costruire un clima di fiducia e rispetto all’interno del team. I consulenti organizzativi, invece, possono offrire strumenti e tattiche per potenziare la cultura aziendale, contribuendo alla creazione di un ambiente lavorativo più sano e produttivo, mentre i formatori possono collaborare per perfezionare specifiche abilità, quali la gestione dei dissidi e la risoluzione di problemi, indispensabili per una leadership efficace.

Dopo tanti anni all’interno delle Organizzazioni penso di poter tranquillamente affermare che, se i vertici di un’azienda incorrono nell’errore di cercare sempre, solo e soltanto un capro espiatorio, rischiano in primis la propria reputazione, ma poi anche la stabilità e la crescita della loro stessa struttura.

Ciononostante, se veramente si comprendono le conseguenze e ci si impegna a reagire e a cambiare, grazie anche all’autoconsapevolezza e all’assistenza di esperti del settore, tutti (nessuno escluso) possono evolvere e diventare figure di riferimento autorevoli, in grado di guidare con onestà, trasparenza e responsabilità. Tale trasformazione non solo rinforza la coesione e la fiducia fra i membri dell’organizzazione, ma contribuisce anche a gettare le basi per un successo prolungato nel tempo.

 

Veronica Spinella