C’È CHI DICE NO!
Un articolo di Alessandro Carl
Una delle cose più irritanti in una qualsiasi relazione è avere a che fare con qualcuno che nega l’evidenza, soprattutto se la persona in questione ci è particolarmente vicina e vi teniamo molto.
Poiché avere discussioni è cosa abbastanza comune tra i familiari più stretti ed in special modo col proprio partner, questo può assumere risvolti piuttosto seri perché si ritiene, a torto (a meno che non sia un sofisticato manipolatore, come nel caso del gaslighting, che spiegherò meglio), che il nostro interlocutore ci voglia prendere per i fondelli, partendo dal presupposto che è impossibile che possa negare qualcosa che si ritenga evidente.
Partiamo dalla base: la persona che nega, prima di negare, nega a se stessa.
Non lo fa con cattiveria, ma si tratta di un meccanismo di difesa rispetto ad una verità che innanzitutto lui/lei stesso/a non riesce ad accettare.
Supponiamo che io ritenga di essere un marito serio, probo ed attento, ma una sera, rientrato a casa, mia moglie mi accusa di avermi visto in un bar che stavo flirtando con un’altra donna. Magari era davvero quello che stavo facendo, ma senza che me ne rendesi conto. Ora, siccome ritengo che tale comportamento sia disdicevole per un marito serio come ritengo di essere, potrei negare in totale buona fede quanto mia moglie mi addebita.
Questo è un esempio di negazione che riguarda l’aspetto morale di una persona, ma ne esistono di molti tipi, come negare di provare un dolore forte in qualche parte del corpo per paura che possa trattarsi di qualcosa di serio e rifiutarsi quindi di andare da un medico; o minimizzando la gravità di una situazione (matrimoniale, lavorativa, legale, ecc.); oppure, addossando la colpa di una situazione incresciosa che si è in qualche modo contribuito a creare ad un’altra persona o perfino alla persona che ha mosso il rimprovero; o ancora, ritenendo che un problema che è saltato fuori passerà da solo.
Il “gaslighting”
Come dicevo, questi meccanismi sono inconsci e, per quanto fastidiosi, vengono attivati quasi sempre in buona fede. Tuttavia, ci sono dei casi in cui non è così, soprattutto da persone scafate e manipolatrici che sono perfettamente consapevoli di ciò che hanno fatto, ma rigirano abilmente la frittata inducendo l’accusatore a pensare che il problema possa invece essere proprio lui/lei.
Questo è il gaslighting e, ad esempio, in politica è all’ordine del giorno: basta guardare un qualsiasi talk-show, per vederlo in azione. Lo si è visto in modo evidente nel periodo del Covid quando politici, giornalisti o “esperti” vari, presi in contropiede da chi li accusava di essere in malafede nella gestione della pandemia, tacciavano i loro accusatori di essere complottisti, negazionisti, asini raglianti e compagnia cantante.
In questi casi, non si può tirare in ballo il meccanismo di difesa, poiché è una consapevole aggressione con la precisa volontà di screditare o perfino annientare gli accusatori. In realtà, nel caso della vicenda Covid, l’attacco non era davvero diretto a questi ultimi, che sapevano come stavano le cose e non avrebbero cambiato idea, ma a chi stava ascoltando e che potrebbe aver maturato dei dubbi sulla bontà di tutta l’operazione.
Il sostegno di un professionista
Tornando alla negazione vera, per un coach si tratta di pane quotidiano. Il cliente che si rivolge a questo professionista lo fa quasi sempre per uscire da una situazione che lo sta angustiando e soltanto più tardi nel processo capisce che può fare molto di più e di meglio che limitarsi ad “aggiustare” qualcosa.
Tuttavia, non è una passeggiata perché il meccanismo di negazione è potente ed è lo stesso cliente a sabotarsi inconsapevolmente.
Il maggiore vantaggio di rivolgersi ad un estraneo è che il cliente non viene e non si sente giudicato da questi ed inoltre, il coach (o altri), che non è emotivamente coinvolto nelle vicissitudini del cliente, riesce a vedere la situazione con maggiore chiarezza ed all’interno di un quadro più ampio.
Questo non significa che il coach non partecipi, anche emotivamente (esattamente come un coach sportivo) al percorso del cliente, ma riesce a mantenere la giusta distanza per non lasciarsi trascinare dalle problematiche del suo interlocutore e, in questo modo, riuscire ad individuare e ad abbattere le sue negazioni.
Chi legge queste parole può obiettare che stia scrivendo l’articolo a mio beneficio, in quanto coach, ma in realtà, poiché proprio le persone che maggiormente avrebbero bisogno di un confronto serio sono quelle che non si riconoscono (negano) tra queste… Quindi, come si dice, non c’è trippa per gatto.
“La verità ti renderà libero”
Per prima cosa è necessario riconoscere le proprie negazioni e, soprattutto, capire da dove provengano, cioè la loro causa.
E di cause ve ne sono molte: la paura, il senso di colpa, la vergogna, un trauma, una delusione, ecc… tutte cose che non invogliano certo a “scavare”.
Laddove nella nostra vita ci siano delle aree che non stanno funzionando come vorremmo, a livello relazionale, economico, di salute o altro, c’è sicuramente qualcosa che neghiamo a noi stessi, non fosse altro che la semplice idea (più o meno inconscia) di non valere abbastanza.
La negazione non è qualcosa di passivo, ma una vera e propria menzogna che ci siamo creati per non dover affrontare la nostra VERA realtà, poiché nel momento in cui capiamo che niente ci è precluso, che possiamo davvero ottenere tutto quello che vogliamo, non abbiamo più giustificazioni per non metterci veramente alla prova… e questo, stranamente (ma nemmeno poi tanto), spaventa!
Per questo è importante avere una terza persona che ci guidi. In realtà, può essere chiunque, anche solo una persona di cui ci si fidi, ma difficilmente riuscirà ad andare oltre un certo punto.
La sola conoscenza non basta, poiché la negazione lavora molto in profondità e siccome gli stessi coach sono esseri umani, come tutti, nemmeno loro sono in grado di superare le loro sfide da soli… anche se sono consapevoli delle dinamiche in gioco (per questo esiste il peer-coaching, il coaching tra pari).
Non potremo mai liberarci dai lacci e dalle catene che ci bloccano finché non entriamo in contatto con la nostra verità.
Comprendere le conseguenze
La prima e più potente negazione è quella di non aver bisogno di fare niente per stare meglio, che in soldoni significa che c’impegneremo di più per evitare di fare qualcosa che potrebbe metterci a disagio (dolore) che per ottenere di più dalla vita (piacere)… e se ci guardiamo in giro, vediamo che è così.
Allora, se ti piace il fai-da-te, ti propongo di fare almeno un esercizio per conto tuo.
Non è niente di complicato, anzi, ma se fatto bene, quello che può rivelare è molto potente.
Se t’interessa, invia una semplice email ad alecarli58@gmail.com richiedendo l’esercizio sulla negazione.
Questo esercizio non ha lo scopo di procurarti disagio, ma di aiutarti a metterti in contatto con un’alternativa a cui magari non hai mai pensato. Certo, può essere “scomodo”… ma è proprio questo lo scopo, poiché farci provare disagio è il modo in cui le negazioni intendono dissuaderci dal portarle allo scoperto.
Ed una volta che tutto è sul tavolo e chiaro, allora potrai decidere se continuare a negare sia la cosa migliore.