La Global Digital Tax : Scenari e  prospettive

Un articolo di Davide Crisci

 

In un epoca in cui La digitalizzazione e la dematerializzazione dell’attività economica hanno profondamente modificato il modo di fare business delle imprese, cambiamenti e turbolenze protezionistiche minacciano il processo di unificazione delle regole necessario ad un sistema di tassazione delle imprese digitali globale uniforme.

Un passo indietro: l’evoluzione del business conseguente alla digitalizzazione ha messo in evidenza i limiti dei tradizionali, oramai obsoleti, istituti del diritto internazionale tributario; se prima la determinazione del reddito era una “formula” squisitamente matematica, data dal differenziale costi-ricavi, oggi diviene estremamente complicata, dato che la generazione dei profitti è determinata prevalentemente dal possesso di beni immateriali.

È risultato quindi evidente che operare con “un sistema” di tassazione oramai ritenuto obsoleto, a seguito della repentina espansione delle imprese digitali, comportava dei seri rischi sia in termini di mancate entrate per le singole giurisdizioni che di equità di tassazione.

 

Sulla base di queste evidenze, i Paesi membri del G20 avevano conferito all’OCSE mandato per la formulazione di principi e criteri impositivi adatti alla Digital Economy ed in grado di fronteggiare il fenomeno dell’evasione fiscale e della perdita di entrate derivanti dall’applicazione dei tributi.

Nel 2019, poi, l’OCSE identificava una serie di proposte di intervento quali “Pillar One” e “Pillar Two”, volti a costituire un sistema di tassazione per le imprese digitali efficace e ad applicazione uniforme.

Questi, in sintesi, i principi formulati:

Pillar 1: finalizzato alla definizione di nuovi diritti impositivi che siano innovativi rispetto agli attuali criteri basati sul concetto di “presenza fisica”, al fine di adattare le regole di fiscalità internazionale agli sviluppi continui del business; il Pillar 1 difatti, si focalizza su un nuovo nexus e su una nuova modalità di allocazione dei profitti.

Pillar 2: che si pone l’obiettivo di introdurre un livello minimo effettivo di tassazione per le imprese operanti a livello internazionale. Ciò si traduce nell’introduzione di una minimum tax globale.

 

Da questi pillars scaturisce la GLOBAL MINIMUM TAX, proposta dall’OCSE e confluita in un accordo sottoscritto da oltre 130 paesi, mira in sostanza a contrastare la competizione “al ribasso” tra Stati in termini di tassazione delle multinazionali con fatturato annuo superiore a 750 milioni di euro, e a garantire che queste ultime corrispondano una quota equa di imposte (fissata al 15%) a prescindere dal luogo in cui operano, evitando così di trasferire la gran parte dei loro utili in Stati a tassazione molto bassa o nulla.

 

Ovviamente, come per ogni sistema di regole la cui applicazione è basata sull’accettazione e l’adesione dei paesi SU BASE VOLONTARIA, era sin dall’inizio evidente che Il futuro della web tax dipendesse dall’evoluzione delle trattative internazionali e dagli sforzi congiunti degli stati di creare “regole del gioco comuni” per una tassazione digitale più uniforme.

 

Quali gli scenari odierni ?

Ad oggi, politiche autoritaristiche  in contro-tendenza scuotono le fondamenta di un sistema di regole “comuni”.

Infatti, Uno dei primi atti – tra i più rilevanti dal punto di vista economico e fiscale – della presidenza Trump ha riguardato il ritiro degli USA dall’accordo relativo alla Global Minimum Tax o GMT, prevista dal Pillar Two del progetto dell’OCSE volto a contrastare l’elusione fiscale delle multinazionali.

È evidente che quando si parla di “multinazionali” non si può prescindere dal riferirsi alle Big Tech statunitensi, ovverosia ai giganti tecnologici come ad esempio Google, Meta, Amazon, Apple, Netflix. Per cui molti ritengono non sia insensato considerare il ritiro degli USA come un colpo grave, se non mortale, all’accordo OCSE e forse alla stessa OCSE, che esce piuttosto ammaccata da questa vicenda.

Peraltro, non vi è solo un ritiro unilaterale da parte degli Stati Uniti, ma anche un pesante condizionamento sugli Stati che continueranno ad applicare tale accordo: infatti, il Segretario del Tesoro, in collaborazione con il Rappresentante Commerciale degli Stati Uniti, dovrà verificare se eventuali paesi stranieri non rispettano i trattati fiscali stipulati con gli Stati Uniti, oppure se hanno in vigore normative fiscali, o intendono introdurre normative fiscali, di natura extraterritoriale o che colpiscono in modo sproporzionato le aziende americane – presentando poi al Presidente entro 60 giorni un elenco di opzioni per misure protettive o altre azioni che gli Stati Uniti dovrebbero adottare o intraprendere in risposta a tali violazioni o normative fiscali discriminatorie.

 

E L’EUROPA?

l’Unione Europea aveva già iniziato ad applicare la GMT grazie alla direttiva di recepimento anticipato – superando nei fatti anche il meccanismo dell’adesione volontaria bilaterale- mettendo in condizione le multinazionali di applicare criteri di tassazione che molto difficilmente saranno accettati dalle imprese statunitensi.

Alla fine, se si ritireranno gli USA e i Paesi in via di sviluppo, questo modello impositivo rischia di passare da “globale” ad “europeo”, e di costituire quindi l’ennesimo fattore di ostacolo alla competitività del Vecchio Continente nel contesto mondiale.

 

Davide Crisci

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