“Il coaching è troppo caro.”

Un articolo di Lucia Franchi

E se fosse l’esatto opposto?

Lo sento dire spesso, soprattutto quando si parla di giovani talenti: “È una cifra importante per una risorsa appena entrata. Il coaching costa.”
È vero. Il coaching ha un costo. Ma anche l’inesperienza lasciata a sé stessa, anche il disingaggio silenzioso, anche il turnover non programmato.

Secondo le stime più recenti, gestire male un talento della Gen Z può costare all’azienda oltre 30.000 euro all’anno. Tra spese di selezione, onboarding, perdita di produttività, supervisione extra e un clima di squadra che si appesantisce, il conto sale senza che nessuno lo metta a budget.

E qui viene il punto: ogni euro investito in coaching può generare un ritorno fino a 7 euro (fonte: ICF Global Coaching Study). Ma più che di numeri, qui parliamo di scelte strategiche. Di visione.

Perché proprio la Gen Z?

Perché la Gen Z è già qui. Non è il futuro: è il presente delle aziende. Sono smart, formati, digitali, ma anche cresciuti in un mondo che non dà tregua. Ansia da performance, iper-connessione, aspettative altissime. E una soglia di tolleranza molto bassa verso contesti che non li valorizzano.

Vogliono sapere “perché faccio quello che faccio”. Non si accontentano del “così si è sempre fatto”. Cercano feedback continui, chiarezza, confronto. E soprattutto: qualcuno che creda in loro, prima che ci riescano da soli.

Quando non trovano tutto questo? Si chiudono. Oppure cambiano. E chi li perde, spesso neanche se ne accorge subito.

Dal costo al valore

Una giovane professionista, entrata in una tech company internazionale, con un curriculum invidiabile e soft skills notevoli. Eppure… silenziosa, invisibile, impaurita. Ogni frase iniziava con “scusa se intervengo”.

Dopo tre mesi di coaching individuale, non era diventata un’altra persona. Era diventata sé stessa, finalmente. Ha guidato un progetto interfunzionale, ha iniziato a esprimere le sue opinioni con calma e sicurezza, ha ricevuto feedback positivi dal team e dal management.

Il talento c’era già. Serviva solo creare le condizioni perché potesse emergere. Il coaching ha fatto da leva.

Il vero lusso? Perdere il potenziale

Parliamoci chiaro: il coaching non è una coccola aziendale. È un acceleratore di crescita. Il punto non è “premiare” chi è già performante, ma sbloccare chi ha margine, chi ha voglia, ma non ancora gli strumenti.

In fondo, nessunə nasce leader. Si diventa. Ma servono visione, fiducia, e una guida che sappia ascoltare senza giudicare.

Il costo più alto? Non vedere ciò che potremmo coltivare. E lasciarlo andare via.

Conclusione (e invito)

Il coaching per giovani talenti non è un lusso, è un investimento strategico. Per l’azienda, per il team, per chi guiderà il cambiamento domani.

Se anche tu credi che la leadership vada coltivata fin dall’inizio, parliamone. Sto costruendo percorsi dedicati agli Emerging Talent, con risultati misurabili e impatto visibile.

Scrivimi per una call di confronto o per ricevere il programma completo.

Lucia Franchi

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