GESTIRE LA PROPRIA “MORTE PROFESSIONALE” PER RINASCERE PIÙ FORTI DI PRIMA E AVERE UN SUCCESSO STREPITOSO
Un articolo di Pasquale Di Matteo
C’è un fantasma che si aggira nelle sale riunioni e negli studi professionali. Tra le casse dei supermercati, come tra le corsie di macchine a controllo numerico. No, non è la paura della recessione o della concorrenza. Nemmeno la guerra, il riarmo e l’instabilità globale.
È una consapevolezza più profonda e personale. È la sensazione che il proprio ruolo, la propria identità professionale costruita in decenni di lavoro, stia per diventare obsoleta e inservibile.
Inutile girarci intorno. Chiamiamola con il suo nome: si chiama “morte professionale”.
Una sorta di Joe Black che sta camminando al fianco di tanti, in attesa di portarli altrove.
Mentre tanti ancora temono le AI, interrogandosi se siano pericolose o no, – come se per capire il presente parlassimo ancora di Peral Harbor, – i professionisti più oculati usano già le loro evoluzioni, gli Agenti AI. Inoltre, a detta dei migliori analisti, entro la fine del 2026, ci saranno le AGI, intelligenze capaci di pensare autonomamente, di studiare e acculturarsi da sé, di replicarsi in maniera evolutiva. Di gestire aziende da sole.
Perciò per milioni di figure professionali, non si tratterà di un semplice licenziamento, ma della fine di un’era.
Ok, per tanti di voi sarà catastrofismo, ma se hai pazienza un attimo, ti racconto la storia di Kodak e di come fallì per un “ma non dire sciocchezze!”
La “morte professionale” è un momento in cui le competenze, le strategie e persino i titoli che ci hanno definito perdono di significato. Perciò la Comunicazione professionale – non quella dell’ascolto, dell’empatia, dell’umiltà e delle tante sciocchezze da “copia e incolla” – ha un ruolo determinante, non solo tra resilienza o perdizione, ma tra la vita e la morte di una persona. Perché dietro i ruoli, ci sono persone.
Fino a ieri, un fallimento lavorativo era un evento legato a fallimenti personali o a grandi ristrutturazioni, ma oggi sta diventando una fase strutturale e inevitabile della carriera di chiunque. Perché, a parte chi mente e chi non ha la più pallida idea di cosa siano le AGI, tutti gli altri hanno capito che il mondo sta cambiando.
L’errore più grande che possiamo commettere è pensare che l’impatto dell’IA riguardi solo mansioni ripetitive, per le quali serve avere un diploma tecnico. Perché la rivoluzione attuale è molto più profonda.
Agenti AI specializzati stanno già iniziando a svolgere compiti di analisi, reportistica, coordinamento e persino di strategia predittiva. Presto, l’AGI (Artificial General Intelligence) amplificherà questo processo a un livello inimmaginabile, impossibile da eguagliare per qualsiasi essere umano.
Questo significa che la marea dell’automazione non si fermerà alle mansioni ripetitive e meccanizzabili o agli uffici contabili, acquisti, tecnico, marketing e di segreteria, ma travolgerà anche le professioni intellettuali più elevate: avvocati, commercialisti, project manager e sì, anche diverse figure manageriali, vedranno le loro funzioni operative svolte in modo più efficiente, rapido e preciso da un algoritmo.
Il diploma servirà come la carta igienica per impacchettare regali, ma la laurea non darà garanzie di salvezza.
L’esperienza manageriale, se basata sul controllo e sulla gestione delle informazioni, diventerà un collo di bottiglia che l’azienda stessa avrà interesse a rimuovere.
In questo nuovo paradigma, perciò, la capacità di reinventarsi non è più un’opzione da gente ambiziosa, ma un meccanismo di sopravvivenza obbligatorio per tutti quelli che non vogliano trascorrere il resto dei giorni trascinandosi tra un ponte e i cassetti dei rifiuti.
E no, piangersi addosso o gridare alla tragedia non è una strategia.
I TRE FANTASMI DELLA TRANSIZIONE: EGO, EREDITÀ, VUOTO
Quando un leader affronta la propria “morte professionale” – che sia per un ruolo che svanisce, una successione da gestire o un fallimento da cui ripartire – deve affrontare tre demoni interiori che un percorso di coaching efficace non ignora, ma li usa come materia prima per la ricostruzione.
IL FANTASMA DELL’EGO
“Io sono il mio ruolo”.
Per un leader, l’identità è spesso fusa con il titolo. Un errore grave, commesso da tanti. Se ci pensate, quante persone, alla domanda “chi sei?” rispondono con il ruolo lavorativo?
Ok, ma chi sei? Non ti ho chiesto cosa fai per pagare le bollette, ma cosa pensi del mondo, della vita, del lavoro, della politica. Quali passioni hai, cosa ti piace e cosa odi.
Ma niente. Tu insisti con “sono impiegato, CEO, Head of Innovation…”
Perciò, quando quel titolo viene meno, in seguito a un licenziamento o a una ristrutturazione, la domanda “chi sei?” è devastante, perché l’ego, privato del suo nutrimento esterno – status, team, potere decisionale, – si ribella. Peggio ancora se vengono meno alcuni elementi che caratterizzano lo status, come un’automobile aziendale da restituire, per esempio, o le chiavi di un appartamento.
Le aziende, quindi, devono predisporre percorsi per lavorare sulle persone, mirando a non distruggere l’ego, ma a separarlo dall’identità, trasformandolo da padrone a strumento. Per provare a riqualificare i più professionali e per accompagnare al mondo dei sussidi e della ricerca di nuove strade gli altri.
IL FANTASMA DELL’EREDITÀ
“Cosa resterà di me?”
Anni di sforzi, successi e sacrifici rischiano di svanire ed è una domanda che si porranno in tanti. Milioni.
La paura non è solo quella di essere dimenticati, ma che la propria narrazione venga riscritta da altri.
Perciò bisogna attuare percorsi per aiutare le persone che saranno interessate da questi cambiamenti epocali a smettere di guardare alla propria eredità come a un monumento di marmo da difendere, per iniziare a vederla come un archivio di competenze, valori e lezioni da cui attingere per il futuro.
IL FANTASMA DEL VUOTO
“E adesso?”
L’agenda piena, le riunioni costanti, le emergenze da gestire. Questa iper-struttura, per quanto stressante, offre un senso di scopo e diventa una zona di comfort.
Infatti, quando scompare, lascia un vuoto terrificante. La tentazione è quella di riempirlo con qualsiasi cosa, pur di non affrontarlo.
Bisogna attuare percorsi che aiutino a tollerare questo vuoto, a trasformarlo da abisso di paura a spazio fertile per la creatività, dove può nascere un nuovo, autentico proposito.
L’ARCHITETTURA DELLA RINASCITA
Superare la “morte professionale” non è un atto di magia di coach super-guru, ma un processo di ingegneria esistenziale. Un percorso che trasforma la fine subita in un nuovo inizio.
Perché i veri leader di successo non sono quelli che non hanno mai fallito, che non sono mai caduti o che non sono mai stati licenziati, ma quelli capaci di essere più tenaci degli altri, in ogni contingenza e persino della cattiva sorte.
IL RITUALE DEL DISTACCO
Invece di scappare dalla fine, bisogna accoglierla come una benedizione, come il momento in cui qualcosa d’altro può finalmente nascere. Qualcosa che senza quella fine non sarebbe mai stato preso neppure in considerazione.
Prima accennavo alla Kodak, ma, oltre al suo fallimento, voglio ricordare qualche storia di successo.
Pensate a Steve Jobs, oppure alla storia della nota marca di pianoforti Kawai.
Koichi Kawai era un progettista di pianoforti della blasonata Yamaha. In seguito a divergenze con i suoi datori di lavoro, decise di fondare l’azienda che porta il suo nome, applicando le idee innovative respinte in Yamaha.
Oggi Kawai è riconosciuta in tutto il mondo come un marchio di qualità a ottimo prezzo in tutto il mondo.
Al contrario, pensate alla chiusura mentale dei responsabili di Kodak, quando un loro giovane ingegnere, Steven Sasson, inventò la macchina digitale e la propose alla direzione, nel 1975, ma i vertici scartarono l’innovazione e preferirono la zona di comfort dei rullini e delle carte per foto, settori in cui erano leader.
La fine fa parte del ciclo della vita, ma gli inizi strabilianti arrivano quando la fine si onora, quando si riconosce il dolore della perdita e si chiude consapevolmente il capitolo.
Questo atto è un rituale che permette di separare psicologicamente il passato dal presente, creando lo spazio mentale necessario per costruire il futuro.
E chi pensa “Ok, ma qui si parla di lavori spazzati via” ricordo che anche l’elettricità, le rivoluzioni industriali, i pc e perfino Internet hanno spazzato via migliaia di mansioni, ma quante altre ne hanno creato?
L’ARCHEOLOGIA NARRATIVA
Da dove ripartire, dunque? Come prepararsi a reinventarsi?
Beh, da una serie di domande.
Quali erano le competenze trasversali dietro i successi? Quali valori hanno guidato le decisioni difficili? A quali passioni ho rinunciato sotto il peso delle responsabilità?
Da questa ricerca, non emergeranno titoli né ruoli, ma l’essenza di voi stessi, quella parte trasferibile del proprio talento.
Ora, l’idea di dover trovare subito “il prossimo ruolo” è paralizzante.
L’approccio vincente è quello del prototipo, per cui si progettano e si testano piccole e rapide versioni del proprio futuro professionale, come un progetto di consulenza a breve termine, la scrittura di un articolo su un tema appassionante, un corso per acquisire una nuova skill.
Ogni prototipo è un esperimento a basso rischio che fornisce dati preziosi su ciò che funziona e, soprattutto, su ciò che dà energia.
Con i dati raccolti, si costruisce attivamente la nuova identità. Non è più “Ero il Direttore Marketing”, ma “Sono un architetto di brand che aiuta le aziende a navigare la complessità tecnologica”, “Sono uno specialista di AGI, aiuto le imprese a…”
Questa nuova narrazione non è una bugia, che sarebbe un boomerang, ma una sintesi più evoluta e autentica del proprio valore, miscelato a nuove competenze che tutti saremo costretti ad acquisire continuamente, lungo tutto l’arco della vita, una nuova base su cui radicare il nuovo posizionamento, il nuovo curriculum, la nuova storia da raccontare.
Curriculum e storia che non saranno immobili, come lo sono state per decenni, ma che si svilupperanno mese dopo mese, anno dopo anno, attraverso esperienze e nuovi titoli di studio, in una perpetua evoluzione che sarà l’unica strada percorribile per sfuggire all’oblio e a una vita sotto i ponti.
LA CRISI DEVE DIVENTARE UN CATALIZZATORE
L’avvento dell’IA non è una sentenza di morte per la professionalità umana, ma un potente catalizzatore che ci costringe a evolvere. Sarà morte certa per quelle persone abituate a scappare dal posto di lavoro, con il cartellino in mano cinque minuti prima che suoni la campana, quelli sempre pronti a inventarsi una patologia per restare a casa.
Per questa tipologia di lavoratori non ci saranno più lavori.
Per chi, invece, ha ambizioni, voglia di studiare e di evolvere, si apriranno mondi inesplorati, perché siamo di fronte a una nuova scoperta dell’elettricità, a una nuova rivoluzione industriale.
Le aziende possono – e devono – diventare protagoniste, guidando i propri collaboratori a “spogliarsi” dei rispettivi ruoli per chiedersi cosa sappiano fare davvero. Perché abbandonare la zona di comfort obbliga a riscoprire il nostro scopo, i valori, le aspirazioni.
La capacità di gestire la “morte professionale” delle mansioni che saranno superate, prima dagli Agenti AI, poi dalle AGI, sarà un grande valore aggiunto per le aziende.
Aiutare a orchestrare la propria rinascita diventerà la meta-competenza più importante per ogni leader e il valore più elevato di qualsiasi organizzazione.
Qualcuno storcerà il naso e sarà infastidito dall’idea dell’avvento delle AGI e dalla cancellazione di milioni di mansioni lavorative. Ma si tratta di osservazioni già fatte durante le rivoluzioni industriali e con l’avvento dell’elettricità.
Inoltre, un simile comportamento cieco è stato praticato da Kodak mezzo secolo fa, quando ha avuto l’opportunità di rivoluzionare il mercato per prima, invece ha preferito voltarsi dall’altra parte e restare comoda nella sua zona di comfort. Cosa che le è costato la bancarotta nel 2012.
Chi saprà comunicare con intelligenza, – con progetti mirati, riqualificazione, ripensamenti, ristrutturazioni – per sfruttare i potenti venti del futuro, evolverà con il vento in poppa. Chi resterà nella zona di comfort, sperando nella provvidenza, – e nel fatto che questo articolo sia catastrofismo, – sarà travolto e spazzato via.
Stiamo per vivere un cambiamento epocale che darà tantissimo a chi sarà disposto a lavorare sodo su di sé, mentre non darà scampo a quelli che non avranno voglia di studiare né a quelli che lavorano per “tirare le cinque e mezza”.
E tu, cosa scegli per la tua azienda?
Successo o bancarotta?
In che modo ti prepari al più grande cambiamento della storia nel mondo del lavoro?
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Sono un esperto di Comunicazione professionale, con una laurea in Scienze della Comunicazione e un Master in Politiche internazionale ed Economia, per analizzare mercati e prospettive.
Laureando in Relazioni Internazionali e Sviluppo economico, perché non si può parlare di lavoro di oggi, che si rivoluziona di mese in mese, con titoli presi una dozzina d’anni fa ed esperienze non orientate al futuro.
Ho esperienze e relazioni internazionali continuative con il Giappone dal 2019.
Se voi capire come strutturare progetti professionali e al passo con i tempi per preparare la tua impresa e i tuoi collaboratori alla più potente rivoluzione industriale della storia?
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