Dialetto – Una lingua, o un patrimonio da difendere?

Un articolo di Cecilia Di Pierro

 

“Chist’ parl’ ghieghhier’!

Diceva Nonna Rita quando sentiva parlare qualche straniero.

In realtà “ghieghhier”” stava per dialetto in una lingua a lei sconosciuta.

 

Con questa premessa divertente vorrei introdurre il mio Articolo su:

dialetti e uso nella lingua italiana.

 

Patrimonio da tutelare, o retaggio di una cultura tradizionale, da accantonare?

Tutti noi, a mio avviso, usiamo espressioni dialettali senza rendercene conto.

E qualcuno, messo davanti alla realtà, se ne scusa, quasi con timore, o vergogna.

 

NESSUNA VERGOGNA PER L’ORIGINE DELLA LINGUA DI OGNI REGIONE

“Lucana di origine, fiorentina di adozione”

Ormai un motto che accompagna tanti miei commenti, o interventi in Social.

Capisco il dialetto della mia regione, vorrei saperlo parlare, ci provo, ma la popolazione locale sorride quando mi sente.

Perché?

 

HO PERSO LE MIE ORIGINI?

Mai! Semplicemente, per eventi e vicissitudini personali, sono nata in Basilicata, ma non ci ho mai vissuto.

Per tale motivo, comprendo il dialetto, ma non lo so parlare.

O meglio: lo parlo alla “Cecilia’s Style”.

Per la popolazione di una certa età, sono io la “ghiegghier’”.

 

TRA TUTTI DIALETTI, QUAL È QUELLO CHE, SECONDO TE, O SECONDO GLI STUDI, È PIÚ FASTIDIOSO DA SENTIRE, O VIENE CRITICATO?

Sembrerebbe che…

 

Questo è il dialetto che dà più fastidio agli italiani, che sorpresa
Ma perché al primo posto c’è proprio lui? Proviamo a dare una risposta.

Lo sappiamo, basta percorrere pochi chilometri in Italia per ritrovarsi in un mondo completamente diverso. Cambia il paesaggio, cambia la cucina, cambiano le tradizioni e cambiano, soprattutto, le parlate. Ogni regione, ogni città, a volte persino ogni quartiere ha un suo modo di dire le cose con una cadenza precisa e un tono che può risultare musicale o, al contrario, irritante. Alcuni accenti ci fanno sorridere, altri vengono imitati ovunque, altri ancora riescono a dividere l’opinione pubblica. Ma se da un lato ci sono dialetti che suscitano simpatia istintiva, ce ne sono altri che – per ragioni culturali, mediatiche o semplicemente fonetiche – tendono a non piacere.

Ecco il dialetto più fastidioso d’Italia: al primo posto c’è lui.
Secondo i risultati emersi da un sondaggio, condotto dagli addetti ai lavori, il napoletano si è posizionato in cima alla classifica degli accenti meno amati dagli italiani. Una sorpresa?

Per me, sì, perché adoro il napoletano e il suo popolo, ma secondo i più le cose non stanno così.

 

Forse sì, proprio perché sembra essere la risposta più scontata. Le ragioni sono da ricercarsi, probabilmente, anche in stereotipi e luoghi comuni consolidati nel tempo. Perché se è vero che il napoletano è anche uno degli accenti più riconoscibili e ricchi di storia, è altrettanto vero che è spesso oggetto di parodie, imitazioni e, appunto, stereotipi. Inutile fare tanti giri di parole: lo si sente nei film, nelle fiction o nei programmi comici. E questo bombardamento potrebbe aver contribuito a renderlo meno “fresco” e più caricaturale agli occhi – e alle orecchie – degli italiani.

 

A tutti gli effetti, il napoletano è una lingua in sé e per sé colorita e ricca di sfumature.

 

FATTORI CULTURALI E GIUDIZIO DEL DIALETTO
Forse, nel caso del napoletano, entrano in gioco fattori culturali, oppure frutto di semplice pronuncia, e suono, di alcune parole. In effetti, alcune espressioni risultano più difficili da decifrare, e tradurre, per chi non è del posto. Ma come sempre accade con le classifiche e con i risultati delle statistiche, anche qui occorre considerare vari fattori che inducono a fare le considerazioni che mi accingo a fare.

 

Quante volte ci è capitato/ci capita di sentire qualcuno pronunciare parole “strane” in contesti del tutto fuori luogo?

Se un termine non è conosciuto, o non si è certi del significato, meglio, evitare di pronunciarlo, pensando di fare bella figura, ma rischiando, invece, di fare una “figura cacina” (leggi pessima figura in fiorentino), in quanto usato in un contesto e in circostanze del tutto fuori luogo – Qualcuno direbbe “off topic”. Ma anche l’inglese qui “un c’incastra nulla” – Non c’entra nulla.

 

E CHE DIFFERENZA C’È TRA VOLGARE E DIALETTO?

Il volgare era l’italiano dantesco.

Se adesso si usa il termine volgare, invece, può voler dire linguaggio pesante e scurrile.

Non è di questo che voglio parlare.

 

QUAL È SECONDO TE L’UTILITÁ DEL DIALETTO?

Secondo me, il dialetto è utile, in quanto origine della nostra lingua, nelle sue accezioni regionali.

Non direi che è fondamentale conoscerlo per dire di parlare bene la lingua italiana.

Direi, però, che serve, innanzitutto per sapere da che cosa è nata la nostra lingua, quindi come patrimonio culturale.

Non dico che dovrebbe essere insegnato nelle scuole, perché, secondo me, le materie importanti, da insegnare ai giorni nostri, sono altre.

Riconosco tuttavia il valore culturale dello stesso e, perché no? Se in una famiglia c’è ancora qualcuno che parla il dialetto, perché non parlarlo con i propri figli, o i propri nipoti?

Era quello che faceva mia Madre: donna di grande spessore, di elevato livello culturale, eppure donna attenta alle tradizioni e orgogliosa di mantenere, e trasmettere ai figli, il valore della lingua di origine.

Di qui, forse anche la mia passione per le lingue.

 

CHE DIFFERENZA C’È TRA ITALIANO E DIALETTO?
L’italiano è un concetto geografico nazionale, il dialetto è locale.

L’italiano è anche scritto, mentre il dialetto è solo orale, o, almeno, esiste poca letteratura scritta in merito.

L’italiano è utilizzato in un maggior numero di ambiti: da quello scientifico, a quello letterario, teatrale, cinematografico e musicale.

L’italiano ha uno stile espressivo standard, è soggetto a cambiamenti nel tempo, è compreso nei dizionari e viene insegnato a scuola.

Il dialetto non è ha una grammatica standard. Esistono libri di/sul dialetto, ma non sono oggetto di studio.

L’italiano ha regole ortografiche specifiche e definite; il dialetto non ha un’ortografia riconosciuta, o standardizzata. Se chiediamo a un nostro “anziano” che regole ha il dialetto che lui/lei parla e comprende, lo stesso ti risponderà “non c’è regola. Parlo a occhio”, leggi a braccio, o improvvisato, quella tipologia di conversazione che tanto piace agli Interpreti, quando un Oratore parla a braccio, a ritmo “umano” e senza tanti ismi.

L’italiano corretto si impara a scuola, quindi è oggetto di studio e impegno, il dialetto, invece, si apprende spontaneamente, se c’è qualche bravo “parlatore di dialetto” in famiglia.

L’italiano ha un corpus letterario, universalmente riconosciuto, la letteratura. Il dialetto, per contro, non ha corpus letterario in generale.

L’italiano trasmette valori nazionali, il dialetto simboleggia il valore locale.

Un’ultima differenza: dal punto di vista sociale, il dialetto è visto come veicolare, lingua che permette un rapporto tra vari ceti sociali, dal più basso al più alto.

 

PARLA COME MANGI E TI DIRÓ DA DOVE VIENI

Non è una sfida. È l’invito a parlare in modo semplice, senza tanti giri di parole, fiocchi e fiocchetti.

 

Se è vero che ognuno è libero di esprimersi come meglio crede, è altrettanto opportuno che ognuno usi termini e frasi alla propria portata.

Tutti apprezzeranno l’Autenticità e lo “Stile”.

 

“We learned more from a three-minute record, baby than we ever learned in school”

(Bruce Springsteen)

 

“Abbiamo imparato più da un disco di tre minuti di quanto abbiamo mai imparato a scuola”

 

Impariamo più dai nostri genitori, e dai loro modi di dire, di quanto gli altri pretendano di insegnarci, o inculcarci.

(DPC)

 

“Parlo ghiegghier’”

 

Un Articolo di

 

Cecilia Di Pierro

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