COMUNICAZIONE E FILOSOFIA ESISTENZIALE: OLTRE IL LINGUAGGIO, OLTRE IL GIUDIZIO
Un articolo di Pasquale Di Matteo
Nel mondo della Comunicazione esiste un grandissimo equivoco.
Ci hanno insegnato che comunicare è parlare, scrivere, gesticolare.
Insomma, un trasferimento di dati.
Ebbene, questo è un abbaglio colossale.
La comunicazione, nella sua verità più nuda e potente, non è un atto che si manifesta in maniera palese con la trasmissione di dati tra interlocutori, ma è un’emanazione. Una qualsiasi emanazione.
È la proiezione non filtrata della nostra filosofia esistenziale più intima. È tutto l’insieme dell’esistenza di un individuo che si palesa, volontariamente o meno, al mondo.
Ogni respiro, ogni scelta, ogni silenzio, ogni idea, ogni traguardo, ogni occasione persa…, è un capitolo del libro che siamo. E la nostra più completa e vera comunicazione.
E da questa prospettiva, l’umanità si polarizza in due soli, immensi universi comunicativi.
LA PRIMA CATEGORIA: L’ECOLOGIA DEL GIUDIZIO ESTERNO
Questo è il regno del “Hai visto?”.
Qui si trovano persone il cui intero apparato comunicativo è orientato verso l’esterno, in un’incessante opera di mappatura del mondo attraverso le lenti deformanti del proprio io.
La loro comunicazione è un rumore di fondo costante, un brusio giudicante che non costruisce, ma categorizza. “Come si è vestita? Cosa ha detto? Cosa pensa? Come si è comportata”
E sono persone sempre pronte a dire “Per me invece…”.
Non è curiosità, ma proiezione.
Traspongono sé stessi sugli altri come se il loro modo di pensare, di agire, di essere, fosse l’unico modello legittimo e perfetto.
È un meccanismo di difesa primitivo, tipico delle persone fragili, che ha l’unico scopo di validare la propria esistenza senza mai metterla realmente in discussione. La loro filosofia esistenziale è fondata su un pilastro: l’autoriflessione è dolorosa, quindi è meglio specchiarsi nelle presunte imperfezioni altrui.
Perciò, la loro comunicazione è già l’atteggiamento. È l’atteggiamento della vittima perpetua, del giudice inappellabile che non si siede mai sul banco degli imputati. Nella loro narrazione, il fallimento è sempre un evento esogeno.
Colpa dello Stato, dell’azienda, del capoufficio, dei suoceri, del vicino, dell’insegnante…
Il loro futuro non è un progetto da scrivere, ma una colpa da assegnare, perché il loro mantra è spesso “tanto, cosa posso fare?”
LA SECONDA CATEGORIA: L’ARCHEOLOGIA DEL SÉ
Poi c’è il secondo universo. Più silenzioso, ma infinitamente più risonante.
Qui non si alzano polveri di giudizio, perché il tempo è destinato ad altro.
Gli abitanti di questo mondo hanno fatto della propria interiorità un cantiere perpetuo. La loro comunicazione, prima di tutto con sé stessi, è un atto di archeologia personale per cercare e mappare debolezze, incompetenze e limiti da colmare attraverso lo studio e il lavoro su di sé.
Giudicano solo sé stessi, si valutano costantemente, si mettono in discussione.
La loro filosofia esistenziale è un unico verbo attivo: migliorare.
Studiano, lavorano sodo e hanno visioni sul futuro perché hanno compreso che il presente è il materiale grezzo con cui lo si costruisce.
La loro comunicazione esterna non è un rumore, ma un segnale chiaro e potente, fatto di progetti, di idee, di azioni che hanno il sapore della responsabilità.
Quando parlano, non emettono giudizi, ma creano valore. La loro energia non è dispersa nel cercare di aggiustare il mondo, ma è concentrata nel forgiare la propria porzione di quel mondo.
Aziende, imprese, scoperte, opere d’arte, innovazioni… sono il linguaggio con cui questo universo dialoga con il mondo di oggi e anche con quello che verrà, perché tanti restano nella storia e si studia e studieranno.
IL CONFLITTO DEI PARADIGMI E LA COSTRUZIONE DEL FUTURO
Questi due mondi non sono isolati, ma comunicano tantissimo.
Tuttavia, è una comunicazione dialettica, spesso conflittuale. Il primo mondo cerca costantemente di etichettare, sminuire e assimilare il secondo. Lo taccia di arroganza, di distacco, di follia. E, quando si trova di fronte al successo, insinua il dubbio dell’affare losco, del giocare sporco, o si tira in ballo la fortuna.
Il secondo mondo, semplicemente, non ha tempo.
Chi sta scrivendo il proprio futuro non ha tempo da perdere a commentare la bozza dei fallimenti altrui. Non è una questione di superiorità o supponenza, ma una questione di risorse limitate.
L’attenzione e il tempo sono il capitale più prezioso, perciò investirlo nel giudizio esterno è la strategia più fallimentare che un individuo o una società possa perseguire.
LO SPECCHIO E LA BUSSOLA
Alla fine, la scelta comunicativa è una scelta ontologica. Da un lato, lo specchio, che rimanda solo l’immagine di ciò che già esiste, spesso distorto. La scelta di chi vuole conferme, non risposte. La scelta delle persone fragili.
Dall’altro, la bussola, che non guarda il panorama, ma punta verso una direzione. La scelta di chi cerca una rotta, accettando il disagio del viaggio e l’incertezza della meta. La scelta dei vincenti.
La comunicazione vera e autentica, quindi, non inizia dalla bocca, dal modo di gesticolare o dalla prossemica.
Inizia dallo sguardo che decidiamo di adottare: rivolto all’esterno, a criticare il paesaggio, o rivolto all’interno, in cerca dei propri limiti, per migliorarsi e scrivere il futuro.
Giudica te stesso. Lascia perdere gli altri.
Il futuro non aspetta chi passa il tempo a raccontare come gli altri lo stanno costruendo, male o bene che sia.
Il futuro appartiene a chi, in silenzio o nel frastuono, ha già impugnato la penna per scriverlo, incurante di chi giudica.
Dott. Pasquale Di Matteo
Giornalista freelance, Vicedirettore di Tamago-Zine, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.
Gestisce brand, relazioni e comunicazione di professionisti, aziende e istituzioni.