Basta con le lezioni frontali: gli adulti imparano facendo.
Un articolo di Lucia Franchi
C’è un paradosso che vedo continuamente in azienda.
Si vuole formare persone adulte — manager, professionisti, tecnici esperti — e si usano ancora i metodi della scuola: un formatore che parla, slide a raffica, qualche appunto preso distrattamente.
Risultato? Dopo due settimane rimane giusto una frase sottolineata, e spesso neppure quella.
Gli adulti non imparano come i bambini
Negli anni ’70 Malcolm Knowles, padre dell’andragogia (la scienza dell’apprendimento degli adulti), l’aveva già detto: gli adulti imparano solo quando vedono un legame diretto con la loro vita, quando possono applicare subito ciò che ascoltano, quando sono protagonisti e non spettatori.
Non è un caso che la curva dell’oblio di Hermann Ebbinghaus ci ricordi che, senza pratica, dimentichiamo fino al 70% di quello che sentiamo dopo appena 24 ore. Un dato che dovrebbe farci rabbrividire se pensiamo a quante ore d’aula frontale vengono ancora vendute e comprate.
Esperienza batte teoria
Gli adulti non hanno bisogno di un altro “insegnante”: hanno bisogno di allenatori.
Perché il vero apprendimento avviene quando:
- si prova,
- si sbaglia,
- si riflette sull’errore,
- si riprova meglio.
È lo stesso principio su cui si basa la teoria dell’apprendimento esperienziale di David Kolb: impariamo passando attraverso il ciclo “esperienza – riflessione – concetto – sperimentazione”.
Pensateci: vi ricordate meglio la volta in cui avete letto un manuale o quella in cui vi siete sporcati le mani, provando e capendo cosa non funzionava?
Dalla testa al muscolo
Le neuroscienze ce lo confermano: un’informazione ascoltata attiva la memoria a breve termine; un comportamento provato, con emozione e feedback, attiva connessioni durature. In altre parole: il cervello funziona come un muscolo, si sviluppa con l’allenamento, non con le lezioni frontali.
E questo vale soprattutto nei temi di leadership, comunicazione, gestione dei conflitti: possiamo leggere cento slide sul “come dare feedback”, ma se non lo proviamo in un contesto sicuro e guidato, al primo confronto reale torneremo ai vecchi automatismi.
Non siamo più a scuola
E allora perché continuiamo a trattare i professionisti come studenti liceali?
Con interrogazioni travestite da test finali, compiti a casa mascherati da “project work”, e giornate intere di slides dove l’unica vera sfida è rimanere svegli.
Gli adulti non hanno bisogno di maestri.
Hanno bisogno di spazi di allenamento, dove la formazione diventa laboratorio, palestra, terreno di gioco.
La domanda da cambiare
La vera domanda non è: “Quanti corsi facciamo quest’anno?”
La vera domanda è: “Che cosa resterà nelle mani (e nella testa) delle persone, una volta tornate in ufficio?”
Perché la formazione non deve produrre appunti.
Deve produrre cambiamenti.
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Insieme possiamo costruire percorsi che non solo insegnano, ma cambiano davvero le persone.