COME LA FORMA DIVENTA SOSTANZA

Un articolo di Alessandro Carli

In una società utilitaristica come la nostra, la sostanza prevale sulla forma… ma si tratta di una conquista o di una devianza?

Nella realtà non c’è niente in conflitto o in contrapposizione con un altro elemento.

Ogni singolo elemento svolge un ruolo/funzione finalizzato al costante miglioramento del sistema: non esiste un solo pulviscolo in più di quanto non sia strettamente necessario a tale fine.

La legge di Dualità, di cui ho già parlato in precedenti articoli, non crea una contrapposizione fine a se stessa, ma solo per consentire l’Evoluzione dei sistemi che operano nella nostra realtà.

Siamo soltanto noi a creare artificiosamente (ed inconsapevolmente) questo conflitto che viene generato dal nostro interno, in quanto ragioniamo quasi esclusivamente in termini di convenienza personale.

Veniamo al dunque…

 

Il collaboratore in crisi

Facciamo l’esempio di un collaboratore, che ha sempre lavorato bene e con impegno, ma che da qualche tempo è impreciso, lento e svogliato.

Questo è ciò che si vede, che si manifesta e quindi, per dirla in altro modo, è la sostanza della questione.

Ora, ci sono due modi per affrontarla. Il primo è quello di andare “oltre” ciò che si manifesta, uscendo dalla mera sostanza, tenendo conto delle interazioni tra i diversi livelli di cui i sistemi sono costituiti e che incidono sull’effetto finale che si vuole correggere.
Naturalmente occorre essere consapevoli dell’esistenza di questi livelli e saperci lavorare.

L’altro modo è quello usato dalla stragrande maggioranza delle persone, che consiste nel cercare la soluzione dallo stesso livello del problema, ignorando i piani superiori.

Da questo livello, si decide di parlare col collaboratore cercando di capire da dove venga questa crisi, ma in modo del tutto formale e distaccato; gli si dice, ad esempio, quanto l’azienda sia sempre stata soddisfatta del lavoro che ha fatto finora con diligenza e che ancora conta su di lui; magari si tratta solo di stress e gli si propone un periodo di ferie e, se si vuole strafare, anche un piccolo aumento di stipendio…!

Cosa può venirne fuori da questo colloquio? Cosa sa di più il manager o imprenditore di quel collaboratore? Con quale motivazione esce il collaboratore, da quel colloquio?

 

Perché restiamo sulla superficie delle cose

Ognuno di noi, così come tutto ciò che esiste, consiste di tre parti: una Struttura, che è ciò che ci consente di operare nella nostra realtà (banalmente, il nostro corpo e la nostra intelligenza); una Relazione, che determina come ci rapporteremo con l’esterno e come veniamo percepiti da esso; e un Significato che “giustifica” la nostra esistenza, così come quella di qualsiasi altra cosa.

Questi tre elementi, sebbene egualmente importanti, in effetti si trovano su piani diversi influenzandosi fra loro in modo gerarchico, partendo dal Significato che influisce sulla Relazione e che a sua volta influisce sulla Struttura, che è il livello materiale, quello più basso in assoluto.

Il problema, se così vogliamo chiamarlo, sta nel fatto che la nostra è una mente concreta che tende a guardare al sodo, solitamente senza porsi tante domande, ed è il motivo per cui si tende ad operare quasi esclusivamente a livello di Struttura, relegando Relazione e Significato a mere questioni psicologiche o filosofiche/spirituali del tutto marginali: in pratica, si sovverte il rapporto d’influenza fra i tre piani.

Poiché la Struttura è l’ultimo livello, è evidente che tutti gli effetti si manifestino qui e questa sfasatura nel rapporto d’influenza fra i piani c’imprigiona letteralmente all’interno di essa, facendoci lavorare unicamente su tale livello, dove non ci sono sbocchi: per chiarezza, la nostra mente fa sì che causa ed effetto operino contemporaneamente su quell’unico livello, anziché trovarsi su diversi piani, come dovrebbe essere, facendoci girare a vuoto.

Qualunque soluzione che scaturisca da questa situazione, non potrà essere che posticcia, fragile, inefficace e di breve durata.

 

Come scendere più in profondità

Tornando alla prima modalità di soluzione della questione col collaboratore fiacco, quella che invece tiene conto dei diversi livelli operativi, vediamo come si sarebbe potuto affrontare più efficacemente questo caso.

Tengo subito a precisare che questa modalità è del tutto controintuitiva poiché stride con la naturale tendenza della nostra mente a restare ancorata alla Struttura, dove si sente più in controllo, e per questo motivo si proverà una certa resistenza a metterla in atto.

Tuttavia, è la modalità che offre senza dubbio le maggiori possibilità di successo.

Supponiamo che il manager affronti il colloquio accedendo ai livelli superiori, Relazione e Significato, anziché restare inchiodato sulla sola Struttura.

Avrebbe innanzitutto acceduto al livello di Relazione, non per cercare di capire quale potesse essere il problema (con una domanda magari anche molto diretta, tipica della Struttura, quale “Vedo un calo di attenzione nel suo lavoro da qualche tempo… può dirmi per quale motivo?”), ma semplicemente per instaurare un legame più forte (“Lei lavora con noi da tempo e si è sempre distinto per la sua passione in quello che fa e per com’è capace di fare squadra, dando sempre il suo sostegno ai suoi colleghi e all’azienda…”).

Nessun interrogatorio e, men che meno, alcun cenno di disapprovazione per questo momento “giù” che il collaboratore sta passando, ma solo tanta sentita vicinanza e affermazione.

Quindi, basta solo una bella carica emotiva per sistemare le cose? Sì e no.

Sì, perché alla fine è dal livello di Relazione che, a cascata, si può cambiare qualcosa a livello di Struttura. Ci sono due problemi, però.

Il primo è la coerenza di atteggiamento da parte del manager. Se si è sempre comportato in modo distaccato e freddo coi suoi collaboratori, magari riprendendoli e biasimandoli per ogni cosa, tutto quel “miele” in una volta produrrà solo della diffidenza: la Relazione è un piano che richiede continuità e soprattutto sincerità.

Il secondo problema è che rendere il collaboratore “dipendente” dai feedback positivi del suo superiore per sentirsi meglio non è sostenibile: diventa, di fatto, una droga.

È necessario fare in modo che il collaboratore possa autogenerare la sua motivazione e, per riuscirci, occorre accedere ad un piano ancora più alto, che è quello del Significato.

Questo significa fare in modo che entri ancora più in profondità dentro di sé, non limitandosi all’aspetto meramente professionale del suo contributo (che ricadrebbe nella Struttura), bensì facendo risaltare ciò che di veramente unico e prezioso è in grado di offrire.

Ad esempio, il manager potrebbe porre al collaboratore tre domande che sollecitino risposte sulle quali continuare a lavorare, del tipo:
Manager: “Quali ritiene essere i motivi per cui lei è così importante per noi?”
Collab.: (ad es.) “La mia serietà, la mia professionalità, la mia devozione al lavoro che svolgo qui…”
Manager: “E le assicuro che ne siamo ben consapevoli, ma le dico per cos’altro lei è così importante per noi… (elencare i motivi, ma non così ovvi). Lei ne era consapevole?”
Collab.: “Ehm… no, in realtà.”
Manager: “Be’, è così… Sono felice che sia con noi. E poiché ha sempre dimostrato attaccamento all’azienda, mi farebbe piacere sapere da lei cosa potremmo migliorare…”

Ovviamente, gli esempi possono essere tra i più disparati ed il dialogo potrebbe prendere direzioni diverse, ma il concetto è quello di far crescere in se stessi e negli altri la consapevolezza del proprio valore, del proprio… Significato.

Anziché cercare di reprimere le persone per poter controllare meglio le situazioni, seguendo la terrificante filosofia del “tutti sono utili, nessuno è indispensabile”, le si libera secondo la filosofia del “nessuno è soltanto utile, ma tutti sono indispensabili in qualche modo.”

Ed è nostro compito scoprire quale sia quel modo.

 

Conclusione

Capire che la nostra realtà non è monodimensionale, ma è strutturata su più piani fra di loro interconnessi in modo gerarchico e dove ogni piano influisce su quello inferiore, ci consente di assumere un controllo reale sugli eventi, non uno che ha bisogno di ricorrere all’imposizione o alla manipolazione per affermarsi.

Quando si lavora unicamente a livello di Struttura, che avviene ben oltre il 90% dei casi, la forma (il come) è sottoposta alla sostanza (il cosa), una modalità che troviamo del tutto intuitiva, ma fortemente restrittiva.

Al contrario, quando si accede ai livelli superiori, quelli di Relazione e Significato (sempreché si sia consapevoli della loro esistenza) per trovare una soluzione, è la forma a prevalere, diventando così sostanza.

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Avere una visione più ampia, sistemica della realtà, è per un leader un vantaggio incalcolabile che raramente viene considerato da consulenti e guru vari che tendono ad operare su un unico livello (Struttura).
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