CONOSCERE LA GEOPOLITICA NON È “ROBA DA TELEGIORNALI”, MA LA CONDIZIONE DI SOPRAVVIVENZA PER CHI FA IMPRESA OGGI

Un articolo di Pasquale Di Matteo

 

Nel passato non troppo remoto, fare impresa in Italia poteva somigliare – con tutte le semplificazioni del caso – a guidare con i fari accesi, ma con il freno a mano: molte scelte venivano compensate dal sistema-Paese.

Un errore commerciale o una strategia sbagliata potevano essere parzialmente sanati dalla svalutazione monetaria, dai confini che rallentavano gli shock esterni, dai dazi che filtravano la concorrenza.

Oggi quel paracadute non c’è più. Il mercato globale è un organismo interconnesso, reattivo, spesso spietato. Una legge votata a migliaia di chilometri di distanza, un conflitto in un’area periferica, un’innovazione normativa o fiscale… tutto questo può spalancare o chiudere mercati nel giro di pochi giorni.

Chi guida un’azienda non può più pensare solo all’azienda, ma in primis a ciò che accade nel mondo.

 

PERCHÉ LA GEOPOLITICA È STRATEGIA D’IMPRESA

Perché un CEO dovrebbe sapere cosa succede nelle legislature di Nuova Delhi o di Pechino, di Mosca o di Tokio?

Perché un responsabile vendite dovrebbe conoscere i movimenti della Banca Centrale di Pechino? Perché un direttore della logistica dovrebbe avere familiarità con i contorni politici di una regione africana apparentemente marginale?

Perché le catene del valore non sono più linee rette, ma spugne che assorbono shock. Un’interruzione nella produzione primaria di una regione fa saltare semilavorati, aumenta costi, riallinea prezzi e sgancia ordini. È geografia economica che diventa politica, e politica che diventa business.

La comunicazione aziendale, se rimane inchiodata a slogan da competenze da youtuber su “ascolto” ed “empatia”, perde valore.

Non basta ricordare che il cliente ama essere ascoltato; quella è roba da prima lezione di Comunicazione che chiunque ha sentito almeno una volta in qualche video di YouTube.

Poi, però, manca tutto il resto, che si studia nei successivi anni universitari in chi ha una laurea in Scienze della Comunicazione. Perché non penso che ti faresti curare l’influenza assumendo farmaci prescritti da un laureato in Ingegneria meccanica, vero?

Beh, allora, per la Comunicazione, meglio chiedere a chi ha titoli specifici, no? Sempre che tu non voglia seguire le terapie sanitarie dell’Ingegnere.

La Comunicazione aziendale oggi implica conoscenze specifiche, ma vaste, particolareggiate, tra cui vincoli istituzionali, le narrative nazionali, le barriere normative.

Comunicare efficacemente in un contesto globale significa saper collocare ogni messaggio nello spazio pubblico internazionale: interpretare simboli, scegliere tempi, evitare gaffe diplomatiche che valgono contratti.

Soprattutto, bisogna conoscere l’antropologia, perché un approccio che funziona nel mercato anglosassone può essere un disastro in Giappone. E il Giappone lo conosco molto bene, visto che con il Giappone lavoro da sei anni.

 

DALLE SVALUTAZIONI AI RITMI DELLA FINANZA GLOBALE: COSA È CAMBIATO

Prima della globalizzazione finanziaria, molte delle variabili macro venivano mediate da meccanismi nazionali, come abbiamo visto all’inizio di questo testo.

Oggi, invece, i mercati globali reagiscono istantaneamente a notizie, dati e percezioni. Uno “starnuto” economico a Pechino non resta confinato: si propaga e si ritorce in vari modi su esportatori, fornitori e investitori a migliaia di chilometri.

Le imprese che non hanno mappe geografiche e politiche dei loro mercati si trovano cieche in un ambiente che non perdona l’improvvisazione.

In un sistema senza confini reali, il rischio politico non è più un costo marginale da aggiungere al prezzo del prodotto, ma è parte integrante del modello di business. Non esistono più “mercati locali” isolati, ma solo reti interconnesse di valore. Perciò conoscere le regole, i costumi, le storie e gli scenari possibili non è cultura d’élite, ma è prudenza economica. È l’ABC dell’imprenditore del futuro.

Un futuro in cui chi resterà ancorato al passato e al “abbiamo sempre fatto così” sarà destinato a fallire senza appello.

 

COSA DEVONO FARE LE IMPRESE: UN VERO MANUALE DI SOPRAVVIVENZA STRATEGICA

Creare una funzione di intelligence geopolitica.

Non è un lusso e non è perdita di tempo, come potrebbe, invece, pensare chi è ancorato alla Preistoria.

Serve un team, anche piccolo, che sappia monitorare normative, tendenze politiche, rischi sociali e culturali nei paesi chiave. Non basta leggere i titoli o qualche articolo per intero, ma bisogna interpretare le dinamiche, costruire scenari e valutare impatti concreti su forniture, vendite e reputazione.

E bisogna conoscere la Politica Economica, l’Internazionalizzazione, la Comunicazione sociale e antropologica delle diverse regioni del mondo.

Sviluppare la cultura interdisciplinare interna non è più “cosa da grandi multinazionali”, ma il minimo indispensabile per fare impresa oggi.

Assumere o formare figure con competenze in politologia, economia internazionale, antropologia culturale, comunicazione e sociologia. La complessità richiede menti e competenze che sappiano leggere dati quantitativi e segnali qualitativi: una norma è fatta di parole e di contesto; un conflitto è fatto di attori e allineamenti.

Ogni piano industriale deve avere almeno tre scenari: favorevole, plausibile, catastrofico. E per ogni scenario, le aziende devono avere pronti piani di risposta rapida: rotazione fornitori, storage, hedge finanziario, comunicazione di crisi.

Piani che, un tempo, si potevano aggiornare ogni dieci anni, ma che oggi devono essere aggiornati quotidianamente.

Bisogna costruire relazioni con ambasciate, camere di commercio, istituzioni multilaterali. Non per creare sistemi di lobby sleali, ma per comprendere i tempi e le opportunità normative. L’accesso alle informazioni e alle reti istituzionali è un vantaggio competitivo.

La comunicazione aziendale deve essere parte della strategia geopolitica: messaggi, timing, interlocutori.

Un comunicato non è marketing, come la gran parte delle persone crede, ma è parte di una narrazione che può aprire porte o chiuderle. Formare un portavoce, prevedere scenari di reputazione e avere piani per la comunicazione cross-border è gestione aziendale del futuro.

Non è solo questione di tradurre brochure o di presentare “la nostra mission”. Quella è roba che fa sorridere.

È sapere come si negozia, come si costruisce fiducia, quali simboli funzionano a Tokio e quali offendono. Quali, invece si devono usare a Mosca o a Berlino e quali a Lisbona, a Pechino o a Ottawa.

Anche la migliore offerta tecnica fallisce se la controparte la interpreta nella maniera sbagliata per ignoranza culturale di chi propone.

 

LA FORZA DEGLI IMPRENDITORI INFORMATI

Chi guarda il mondo con lente geopolitica non è uno spettatore intellettualoide, ma è un imprenditore oculato che riduce incertezza e crea opportunità.

Conoscere la politica internazionale ti conduce ad aggiudicarti una gara, a entrare in un mercato emergente prima della concorrenza, a proteggere margini quando la volatilità aumenta. È attività concreta, misurabile, remunerativa.

I N D I S P E N S A B I L E.

 

LA GEOPOLITICA COME COMPETENZA DI BASE

Il tema è chiaro: laddove prima la svalutazione o i confini consentivano margini di errore, oggi la preparazione culturale e strategica è il salvavita dell’impresa.

La geopolitica non è “roba da telegiornali” perché non è intrattenimento, ma il codice sorgente del mondo in cui vendiamo e produciamo. Non è estetica: è tecnica. Non è opinione: è rischio e opportunità.

Chi non la apprende sarà condannato all’improvvisazione. Chi la padroneggia, invece, trasforma l’incertezza in vantaggio competitivo. E questo, nel mercato globale, non è retorica, ma la differenza tra chi sopravvive agli eventi e chi decide il proprio futuro con consapevolezza.

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Dott. Pasquale Di Matteo

Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, sviscera gli accadimenti geopolitici globali. Attualmente, è laureando in Relazioni Internazionali e Sviluppo Economico.

Rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co, realizza eventi culturali, in Italia e all’estero.

È pubblicato quattro romanzi thriller e una dozzina di saggi d’arte e di sociologia. Lo scorso mese è uscito LA FABBRICA DELLA PAURA (esclusiva Amazon), libro in cui spiega i meccanismi della Comunicazione politica odierna e perché alcuni giornalisti abbiano scelto di diventare voci della propaganda anziché fare informazione.

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