Cosa significa “fare la differenza”, esattamente?

Un articolo di Alessandro Carli

 

Soprattutto nel mondo del marketing, “fare la differenza” è diventato il nuovo mantra.

Va bene, ci sta… sono d’accordo. In un mercato che ha ormai abbattuto ogni confine, se non si è capaci di fare la differenza, non solo non ci si afferma, ma si viene del tutto ignorati.

La nostra mente capta istantaneamente ciò che è in qualche modo dissonante dalla normalità, cosa che ci ha permesso di sopravvivere (questo vale per qualsiasi animale, beninteso). Torna indietro di qualche decina di migliaia di anni ed immagina di uscire dalla caverna dopo una notte di sonno profondo.

Mentre stiracchi le membra per liberarle dalla rigidità notturna, vedi l’alba che inizia a dissolvere le tenebre, senti il canto degli uccellini che accolgono il nuovo giorno, una leggera brezza che ti accarezza il viso, il profumo dei fiori di campo, a circa 20 metri di distanza vedi una tigre che ti punta e sta avanzando con passo felpato, fai uno sbadiglio, pensi alla colazione…

Ecco, in questo delizioso, bucolico quadretto, qual è l’elemento che risalta da tutti gli altri?

Già: queste sono le quisquilie che fanno la differenza tra fare colazione e… essere la colazione!

È una struttura chiamata SAR (Sistema di Attivazione Reticolare), che si trova nel nostro tronco encefalico (definito anche cervello antico, nel bel mezzo del nostro cervello, ad assicurarsi che si sia in grado di rilevare all’istante tutto ciò che potrebbe rappresentare un pericolo. O un’opportunità.

Come dicevo, il marketing conosce molto bene questi meccanismi e li usa a man bassa per attirare immediatamente l’attenzione di coloro a cui è diretto un certo messaggio. Negli anni sono stati fatti notevoli progressi, rendendo sempre più difficile, al nostro SAR, riconoscere dove potrebbe nascondersi l’inganno. Chi s’intende di frodi, conosce bene i meccanismi messi in atto in truffe come il phishing, lo smishing, il vishing e compagnia bella.

Beninteso, con questo non intendo minimamente dire che il marketing sia una attività fraudolenta, ci mancherebbe, ma solo che i meccanismi usati sono basati sulle stesse dinamiche ed è solo l’intenzione a monte a fare del messaggio qualcosa di malvagio oppure di lecito e perfino opportuno, nella maggioranza dei casi.

In ogni caso, l’obiettivo è uno solo: quello di presentare un elemento di differenziazione che, in funzione dei contesti d’interesse, viene proposto con una delle tre seguenti finalità:

Apparire differente

Essere differente

Fare la differenza

Questo non riguarda soltanto il business, ma qualsiasi ambito in cui ciò che si offre/propone abbia una ricaduta esistenziale sugli altri, dove gli attori in questione possono essere genitori, insegnanti, politici, professionisti, ministri di culto, ecc.

 

Apparire differente

Questa è senza dubbio la modalità più usata, ma anche la più fuorviante, anche laddove le intenzioni siano del tutto lecite (che poi siano anche etiche è tutto da verificare).

Se quello che propongo è una vita migliore, in senso lato, lo scopo è quello di rendere l’oggetto (ovvero la soluzione) attraente, accattivante, irrinunciabile. Qui è dove il “marketing” può dare il meglio di sé, esponendo i punti forti e mitigando – o ignorando del tutto – quelli più deboli della proposta.

Soprattutto se c’è tanta offerta, lavorare sull’apparenza è senza dubbio il modo più efficace per ottenere un risultato, anche se la differenziazione non è sull’oggetto in sé, ma sull’approccio e sull’efficacia della comunicazione.

Ad esempio, non vi è dubbio che un genitore abbia molto più a cuore il benessere del proprio figlio di quanto non lo abbia uno spacciatore, ma basta questo, a quel figlio, per decidere di seguire le raccomandazioni del primo anziché le lusinghe del secondo? Chi seguirà, alla fine? Questo dipende naturalmente dal rapporto che il figlio ha col genitore: se c’è fiducia, dialogo, attenzione nel rapporto padre/madre-figlio, il genitore avrà la meglio; in caso contrario, è probabile che si lascerà trascinare dalle false promesse del pusher, che sa come lavorare sull’apparenza.

 

Essere differente

In questo caso, non è tanto la comunicazione ad incidere sulla decisione che prenderà il destinatario dell’offerta, ma i fatti, la storia dell’offerente. Quando si può dimostrare che, grazie ad una certa conoscenza/competenza, esperienza, risultati raggiunti, ecc., si è in grado di offrire qualcosa di solido e concreto, si sarà ovviamente più facilmente portati a credere a ciò che questa autorevole “fonte” sta proponendo.

Il “contrasto” (la capacità della nostra mente di individuare subito l’elemento dissonante, come spiegato all’inizio dell’articolo) non è il solo elemento ad influire sulla decisione che prenderà una persona: anche la “concretezza” – e non solo – lo è. Ecco perché poter dimostrare di essere differenti è così potente.

Tuttavia, anche questo ha un lato debole: è troppo razionale ed impatta quindi poco a livello emozionale. Non apre a nuove prospettive, è troppo focalizzato sullo “status quo”, non fa… sognare! Per certe professionalità,  questo non è un grosso problema. Anche se un medico, un avvocato o un commercialista non mi fa volare!, me ne faccio una ragione: m’interessa solo che faccia bene il suo lavoro. D’altro canto, per un coach, un politico o un’insegnante può essere un problema.

 

Fare la differenza

Questa è la sintesi tra le prime due finalità, tra apparire ed essere differenti, e per questo la più potente delle tre, senza dubbio.

Il verbo “fare” è molto forte in quanto dà concretezza, così come la dà l’essere differente, ma non dice molto sull’essere differente per me nello specifico! Prima facevo l’esempio del medico o dell’avvocato di grido, con una solida reputazione e con grandi risultati ottenuti, ma… e se invece con me non ci riuscisse?

“Essere” è statico; “fare” è dinamico e la mia mente riesce a fare questa distinzione. Sì può anche essere il migliore, ma non si saprà mai se, davvero, questo farà la differenza per qualcuno nello specifico. Ecco che, per quanto controintuitivo possa sembrare, diventa importante apparire differenti oltre ad esserlo, in quanto – lo ribadisco – l’apparire attiva la parte più emozionale di una persona, coinvolgendola e rendendo così il tutto più dinamico e motivante.

Ecco come facciamo capire di fare la differenza per il diretto interessato.

 

Conclusione

In una qualsiasi comunità o società, fare la differenza non è soltanto un modo per entrare nelle menti, nei cuori e quindi nelle grazie degli altri, ma uno scopo di vita. Se non facciamo la differenza per qualcuno o qualcosa, la nostra stessa esistenza è inutile: brutto metterla giù così, ma è la cruda realtà.

In qualche modo la differenza la si fa comunque, ma quando non si è consapevoli di come ed in nome di cosa la si sta facendo, il più delle volte è in negativo (esempio dello spacciatore).

Per questo, i primi per cui siamo tenuti a fare la differenza siamo noi stessi, iniziando con una semplice (!) domanda: su cosa devo lavorare per diventare (essere, manifestare) e dimostrare (apparire), prima di tutto a me stesso/a, di essere la persona di cui il mondo ha bisogno per elevarsi?

Non so fino a che punto la differenza che riuscirai a fare avrà un impatto tangibile sul mondo… ma di certo lo avrà su di te!

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