IL CAPITALE NARRATIVO, L’ASSET INVISIBILE CHE MUOVE LE AZIENDE
Un articolo di Pasquale Di Matteo
Ogni organizzazione, sia essa una multinazionale o una bottega, possiede un’anima.
Quest’anima non è fatta di numeri, di bilanci o di organigrammi, ma di storie, di vissuto.
Chiamatela cultura aziendale, se volete.
Io la definisco “Capitale Narrativo”.
Si tratta dell’insieme di aneddoti, successi, fallimenti, pettegolezzi, eroi e leggende che circolano nei corridoi, nelle chat di gruppo, o durante le pause caffè.
Questo capitale non è un orpello o un optional comunicativo, ma, se usato in maniera strategica, è il vero e proprio sistema operativo culturale che definisce l’identità profonda di un’azienda, di conseguenza, guida i comportamenti delle persone in modo molto più viscerale ed efficace di qualsiasi manuale delle policy.
Per decenni lo storytelling è stato confinato al reparto marketing.
Uno strumento per vendere, per costruire un brand appetibile al consumatore esterno.
Una narrazione di facciata, spesso impeccabile e vuota, limitata al contesto pubblicitario.
Ma questa visione è miope e pericolosamente riduttiva.
Il vero cambiamento di paradigma avviene quando si comprende che il “Capitale Narrativo” è una risorsa strategica interna, primaria, misurabile e gestibile.
È la leva fondamentale per la coesione, l’allineamento e la direzione.
PERCHÉ IL CAPITALE NARRATIVO È COSÌ DIROMPENTE?
La sua forza dirompente è nella sua natura umana, primordiale.
Noi esseri umani siamo “Homo Narrans”.
Processiamo la realtà, ricordiamo informazioni e definiamo la nostra identità attraverso le storie. Perché sono proprio le storie, i racconti e il vissuto a dire chi siamo. Perché quei racconti e quelle storie forgiano il nostro carattere e costruiscono la nostra identità.
Un set di regole viene dimenticato. Una storia viene interiorizzata, fatta propria, raccontata. E ci forma, giorno dopo giorno.
TRASFORMA LA COMPLESSITÀ IN SENSO.
Una direttiva astratta è inefficace, mentre la storia di come un dipendente, anni fa, abbia volato con tante turbolenze e paura per risolvere un problema irrisolvibile a un cliente, no.
Quella storia cristallizza il valore in un’azione concreta, memorabile, emulabile. Fornisce uno “script comportamentale” potentissimo.
CREA APPARTENENZA ORIZZONTALE.
Il manuale del dipendente unisce le persone attraverso regole imposte dall’alto. Le storie condivise, invece, le uniscono attraverso un legame emotivo orizzontale. Un nuovo assunto in filiale a Cagliari e un amministratore delegato a Milano condividono la stessa leggenda fondativa.
E tale condivisione narrativa abbatte le barriere gerarchiche e geografiche, creando un senso di appartenenza culturale unico e inclusivo.
È il collante per i collaboratori capillari e distali, che altrimenti si sentirebbero ingranaggi isolati di un meccanismo sconosciuto. Cosa che accade più spesso di quanto si pensi, al di là delle belle parole sul benessere e sull’engagement di cui sono piene le bocche di coach e guru.
È UN ANTIDOTO ALL’ANONIMATO DELLA SCALA.
Man mano che un’azienda cresce, il rischio è la disumanizzazione, la perdita di identità.
Gestire attivamente il “Capitale Narrativo” significa preservare l’essenza umana dell’organizzazione, permettendo di scalare senza perdere l’anima. Le storie diventano il sangue che ossigena ogni angolo remoto del corpo aziendale.
COME SI GESTISCE UN PATRIMONIO COSÌ INTANGIBILE?
Gestire il “Capitale Narrativo” non significa inventare favole, ovviamente. Significa svolgere un’opera attenta e meticolosa di curatela. Significa individuare, curare, diffondere e creare storie autentiche che siano allineate alla direzione strategica.
Storie di manager, ma anche di collaboratori alla base della piramide. Come il giovane magazziniere che studia dopo cena per laurearsi e spostarsi nell’ufficio commerciale, o come la segretaria cinquantenne che, finalmente, ha ripreso gli studi perché vuole diventare responsabile di settore.
O, ancora, la storia del collaboratore che ha sconfitto un cancro ed è tornato più forte di prima e con tante idee per l’azienda, o quella del dipendente che quella volta ha avuto un’intuizione brillante per soddisfare un cliente esigente.
Il primo passo è ascoltare, setacciare l’organizzazione per trovare le storie vere che già circolano e quelle che restano celate, dietro i denti delle persone più timide e riservate.
Quale fallimento è diventato un insegnamento? Quale piccolo gesto di un team ha fatto la differenza? Queste perle vanno individuate e valorizzate.
DIFENDI LA VERIDICITÀ
La tentazione di abbellire è sempre in agguato, perciò bisogna fare attenzione.
Resistete. La mancanza di autenticità viene smascherata in pochi secondi e il danno per la fiducia interna è irreparabile.
Un racconto di fallimento, con le sue imperfezioni, è infinitamente più potente di una storia di successo edulcorata.
DALLA CANTINA AL LOUNGE
Non tenete queste storie nascoste. Portatele alla luce.
Create degli archivi narrativi accessibili.
Usate ogni mezzo per intervistare i collaboratori, compresi i nuovi assunti, e usateli come palcoscenici.
Ma come si misura il ROI di una storia? Non con metriche di engagement vuote, ovviamente, ma con il suo impatto comportamentale.
Quante volte quella storia viene citata spontaneamente in una riunione per prendere una decisione? È diventata parte del linguaggio comune?
LA GOVERNANCE DELLA NARRAZIONE
Il “Capitale Narrativo” è troppo importante per essere lasciato al caso. La sua gestione deve diventare una prerogativa aziendale, una funzione strategica al pari della gestione finanziaria o del talento. Richiede una governance consapevole e manager titolati.
Gli stessi esperti di HR non sono titolati a gestire queste situazioni, poiché, oltre agli studi di Comunicazione che spesso mancano in queste figure, non ci sono pregresse esperienze di lavoro alle dipendenze che non siano il ruolo di HR.
Ma, senza un background da fattorino, operaio, impiegato, manovale… per almeno un paio d’anni, è impossibile intuire, respirare e cogliere gli umori, le sensazioni, le percezioni di certe dinamiche comportamentali di chi sta alla base della piramide aziendale.
Ed è una condizione che conosco piuttosto bene, perché ho trascorso 24 anni in sei aziende diverse, come operaio specializzato, prima di riprendere gli studi, laurearmi e cambiare vita. Ma quelle esperienze sono la competenza numero uno, la differenza abissale tra me e tanti coach o manager che in azienda hanno messo piede solo per parlare.
Investire nel “Capitale Narrativo” significa investire nel sistema immunitario culturale della propria organizzazione.
Significa dotare ogni persona, dal manager al fattorino, di una bussola narrativa che indichi sempre la rotta, anche quando le acque si fanno tumultuose e le policy risultano inadeguate.
Non è una tecnica di comunicazione, ma la più antica e potente tecnologia umana per dare senso, direzione e appartenenza.
È ora di iniziare a gestirla con il rigore e la passione che merita.
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Analista di Geopolitica, IA e Cultura per svelare strategie controintuitive a leader e organizzazioni.
Laurea in Scienze della Comunicazione e Master in Politiche internazionali ed Economia, analizzo le dinamiche geopolitiche, le relazioni internazionali, l’avvento delle AGI e le dinamiche di comunicazione interne ed esterne alle organizzazioni.
Sono vicedirettore di Tamago-Zine (www.tamagozine.org) e mi occupo anche di critica d’arte. Proprio in campo artistico, sono il rappresentante italiano della Società culturale giapponese, Reijinsha.Co.
Su Linkedin gestisco due newsletter con cui parlo di Kintsugi aziendale e di Giappone: KINTSUGI WORKPLACE e CODICE GIAPPONE.
Il mio profilo Linkedin: https://www.linkedin.com/in/pasquale-dimatteo/.
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