IL MONACO CHE FA L’ABITO
Un articolo di Alessandro Carli
Hai mai incontrato persone vestite con abiti eleganti e di pregio che sembravano dei cafoni e altre che si mettevano su quattro stracci, eppure sprizzavano eleganza da ogni poro?
Cosa vuol dire? Che l’abito non fa il monaco? Che come si presenta una persona non definisce chi è?
Non lo so. Mi limito a fare qualche considerazione e poi sarai tu a tirare una somma.
Quello che so è che ho conosciuto molte persone che facevano lavori umili, ma erano dotate di grande saggezza; plurilaureati che erano dei perfetti idioti e gente che aveva la terza media con cervelli fini; ricchi che pensavano da pezzenti e poveri che vivevano con dignità; gente con un certo potere che se la faceva sotto davanti a una sfida e altra che affrontava ogni avversità con la sua sola forza d’animo.
Certo, ho conosciuto anche gente saggia con un lavoro di rilievo, laureati brillanti, ignoranti idioti, ricchi degni e poveri pezzenti, potenti con una forte guida interiore e gente comune che se la faceva sotto per ogni cosa.
Nell’uno e nell’altro caso, pare che non ci sia un nesso diretto tra l’abito e il monaco… ma forse tra il monaco e l’abito, sì.
Penso che, prima o poi, una persona indosserà l’abito che sente di dover portare e lo farà trovandosi in una di due situazioni: o quando si sentirà pienamente se stesso ed allineerà la sua esteriorità con la sua interiorità, in totale trasparenza; oppure, al contrario, quando sentirà di non avere altra scelta che quella di travestirsi per sentirsi accettabile, in totale opacità.
Mi auguro si sia capito, a questo punto, che quando parlo di abiti, non mi riferisco ai vestiti che indossiamo, ma agli atteggiamenti che ostentiamo per avere una certa influenza sugli altri, che sia in modo subdolo, ovvero aperto e palese.
La crescita personale, per come viene generalmente intesa, è basata sull’automiglioramento. Certo, anch’io uso spesso questo termine, ma non è questa la finalità ultima della crescita. La finalità è la correzione.
In una sua parabola, Gesù dice: “Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo a un vestito vecchio; altrimenti strappa il nuovo, e il pezzo tolto dal nuovo non si adatta al vecchio…”
Spesso, l’automiglioramento consiste proprio in questa operazione: prendere un pezzo di vestito nuovo per cucirlo su uno vecchio, ma le due cose non sono compatibili, poiché si avrà rovinato il vestito nuovo e la toppa sul vecchio non terrà o salterà all’occhio. In altre parole, è un’operazione di maquillage e, prima o poi, il nuovo atteggiamento non supererà la prova del tempo e quello vecchio riprenderà il sopravvento: in 30 anni, l’ho visto ripetersi molte volte.
È necessario incidere, scavare, per correggere degli atteggiamenti negativi che si sono incalliti nel tempo ed è un lavoro sporco, difficile e doloroso. Farlo da soli è praticamente impossibile, il tuo (nostro) ego non te lo permetterà e, credimi, è molto più furbo di quanto tu lo potrai mai essere: non c’è proprio partita!
Non rimangono che due possibilità: lasciare che sia la vita a buttarti a terra… che poi non è nemmeno detto che tu capisca cosa sia successo davvero (anzi, non succede quasi mai e si preferisce incolpare qualcuno o qualcos’altro); oppure, ti fai assistere da chi sa il fatto suo. Sarà un po’ meno sporco, un po’ meno difficile e sarà comunque poco piacevole, ma almeno andrai ad incidere dove c’è il bubbone e solo a quel punto si può cominciare a parlare di automiglioramento.
Quando fai pulizia, la tua mente comincia a lavorare in modo diverso, tutto è più chiaro, senti un’energia totalmente diversa e torni ad avere una chiarezza che ti eri dimenticato di aver mai avuto, prendi decisioni che avevi sempre rinviato e, soprattutto, ti senti più in controllo: sei il monaco che fa il proprio abito, non il contrario, e se anche questa sensazione non durerà molto a lungo, purtroppo (la correzione non è una tantum, ma è un processo che dura tutta la vita, con diverse situazioni), più ti coinvolgi con questo lavoro, più prendi dimestichezza con questi meccanismi, più provi su di te la straordinaria sensazione di libertà che ne consegue, sempre meno avrai bisogno di qualcuno che ti guidi e sempre più desidererai sottoporti al processo.
Il punto, quindi, è: come si fa a sapere se è il momento di farlo? Ci sono dei segnali?
Sì.
Il primo è il modo in cui gli altri, soprattutto le persone che ti sono più vicine, si relazionano con te. Se ti capita, con una certa frequenza, che gli altri ti riprendano o ti critichino (anche amorevolmente) su una determinata cosa, non pensare subito che sia una loro fissazione o che non sappiano capire: riflettici seriamente e agisci di conseguenza.
Un altro segnale importante è il ripetersi di risultati indesiderati. Non esiste il caso, ma è tutto sempre la conseguenza di una precisa causa: magari è un tuo modo superficiale di affrontare le cose o un atteggiamento di sufficienza, di arroganza (o di modestia), di eccessivo (o troppo poco) controllo, ecc. Non trascurarlo.
Un terzo segnale è a livello di sensazioni: l’insoddisfazione, la confusione, la frustrazione, un senso d’impotenza, lo stress/ansia, ecc. sono tutti sentimenti che rivelano una conflittualità interiore. Se sono sporadici, li puoi ignorare, ma se si ripetono con una certa frequenza ed aumentano d’intensità, non trascurarli.
Non è raro che questi segnali si presentino insieme, ma anche se sono due o uno solo, prendili seriamente: ricorda sempre che ciò che il tuo corpo ti comunica non è mai casuale… e tantomeno i risultati.
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