IL PESO CHE TI PORTERAI SEMPRE DIETRO
Un articolo di Alessandro Carli
Hai mai sentito parlare di “sindrome dell’impostore”?
Io stesso l’ho scoperta da relativamente poco tempo ed è strano perché è molto comune… talmente comune che ne soffrono ben il 70% dei professionisti e, molto probabilmente, non solo loro.
Tra questi ci sono stato anch’io.
Ne ho sentito parlare per la prima volta poco meno di un paio di anni fa circa ed è stato per me un punto di svolta perché, riconoscendomi nei suoi sintomi, ho capito cosa m’impedisse di esprimermi al meglio ed all’improvviso mi ritrovavo qualcosa su cui potessi finalmente lavorare.
Viene definita sindrome dell’impostore perché chi ne è “affetto” ha la sensazione di non essere veramente all’altezza di ciò che sa e fa. Di conseguenza, si promuove in modo debole ed incerto, pensando che sul mercato ci siano persone molto più preparate ed in gamba di lui/lei e questo lo fa sentire un impostore… della serie: cosa pensi di poter proporre o vendere quando là fuori c’è gente con le palle, magari plurilaureata, preparata, certificata, affermata, ecc. che ti fa vedere i sorci verdi?
Quando poi si deve parlare di prezzo, si completa la metamorfosi in Fantozzi. Il cliente: “Lei mi chiede “X” euro per farmi coaching?” E tu, con voce smorzata, tipica del ragioniere più famoso d’Italia: “Nooo, cos’ha capito? Sono io che glieli do a lei…” Okay, forse ho un po’ esagerato, ma è arrivato il concetto?
Il punto è questo. Ho fatto il mio primo corso di crescita personale e leadership più di 35 anni fa e ho cominciato a frequentare attivamente quel mondo oltre 30 anni fa, lavorando con persone di tutto il mondo, quando molti tra coloro che oggi si propongono al mercato con grande sicumera come coach ancora si succhiavano il pollici e bagnavano i pannolini… ma hanno poi fatto molta più strada di me.
Non riuscivo a capire. Non è che non credessi in me stesso o nelle mie capacità, dato che la mia storia dimostrava il contrario, ma per qualche motivo non stavo performando come avrei potuto e dovuto. E questo, fino a quando appunto due anni fa mi sono imbattuto in questa sindrome. È allora che mi si sono aperti gli occhi e potendo finalmente vedere in faccia il nemico, ho potuto fare qualcosa in proposito: non ci stavo più a riconoscermi come impostore.
Questa sindrome attacca soprattutto gli introversi, che sono per loro natura molto analitici, razionali, meticolosi, introspettivi e si focalizzano sulla qualità del loro lavoro, che dev’essere impeccabile. È evidente che è come darsi la zappa sui piedi poiché così è molto più facile vedere ciò che non va, che è sbagliato, che va migliorato e si continua a ricercare un’impossibile perfezione. Mentre gli estroversi, essendo più interessati ad aggredire il mercato, si accontentano di piazzare un prodotto o servizio che, se anche non perfetto, è comunque vendibile. Ed è questo che conta, no? Come la riconosce, il cliente, la differenza tra buono ed eccellente con tutte le “patacche” (non solo materiali) che girano sul mercato?
Per un introverso, questo modo di ragionare è bestemmia allo stato puro, ma funziona. Se è vero che la qualità si vede soprattutto nel tempo, è altrettanto vero che in questo lasso di tempo si definisce chi avrà successo e chi fallirà: è questa la cruda realtà.
Non è né semplice né veloce liberarsi da questa sindrome, ma si possono cominciare a prendere delle contromisure. Nella peggiore delle ipotesi, c’è sempre il “jolly”: mettersi in partnership con degli estroversi! Ma questo è un altro discorso…
Per prima cosa, sappi da subito che non ti libererai mai dal peso di questa sindrome. Te la porterai sempre dietro, dovrai sempre farci i conti, ma puoi imparare a gestirla. Per un professionista può essere molto utile, poiché è corretto che egli miri alla perfezione, purché non ne faccia una malattia. Anziché puntare tutto sul raggiungimento della perfezione, va individuato un punto d’incontro tra qualità e vendibilità. Perché lo sai qual è il paradosso? Se miri troppo in alto nella qualità, il mercato non la capirà e se non la capisce, non la compra. Questo andrà a colpire la tua autostima, rafforzando l’idea di essere un impostore. Della serie: cornuto e mazziato.
Secondo, focalizzati sui tuoi punti di forza e sulle altrui debolezze. D’accordo, forse non è molto elegante, ma funziona e comunque te lo tieni per te. Per sua indole e funzione, il professionista introverso è portato a focalizzarsi su ciò che non va, sugli errori, sulle lacune, sui difetti… ivi compresi i propri e, al contrario, ad ingigantire i meriti ed i punti di forza altrui, andando così a favorire l’insorgere della sindrome. Tutto questo va rovesciato per riportare equilibrio nelle dinamiche mentali del professionista ed avere una visione più attinente alla realtà.
Terzo, compromettiti! Questa è la parte più difficile, ma anche quella decisiva. Come dicevo, chi pensa (più o meno inconsciamente) di essere un impostore, in realtà sa e sa fare molto più di quanto creda, ma finché non si mette in gioco, finché non decide di compromettersi rendendo pubblico il suo sapere e know-how, non va da nessuna parte. Oggi esistono decine di modi per far sapere al mercato, là fuori, cosa si ha da contribuire: social, blog, podcast, libri/ebook, video, webinar, ecc. Segui bene i primi due punti e poi buttati col terzo: la tua vita cambierà!
Questo non è un argomento che si può esaurire con un articolo e se ancora non te la senti di mettere in discussione l’idea di essere un impostore, t’invito a fare una chiacchierata con me per approfondire la questione. Ti ricordo che ci sono passato anch’io, quindi conosco bene il “mostro”.
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