IL POTERE DELLE IPOTESI

Un articolo di Alessandro Carli

 

Non è certo una novità che il modo in cui comunichiamo con noi stessi determini la qualità della nostra vita.

E com’è che comunichiamo? Per domande… ed è la qualità di queste domande a fare la differenza.

Ad esempio, se davanti ad una situazione incresciosa che si è venuta a creare mi pongo domande che iniziano con “perché”, la mente si attiva per cercare una causa, infilandosi in un tunnel pericoloso da gestire.

Infatti, continuando ad interrogare in sequenza le risposte che mi darò ogni volta, scenderò sempre più in profondità nelle cause fino ad arrivare ad un punto in cui la causa ultima (o prima, a seconda del punto di vista) sarà certamente poco piacevole, lasciando poco spazio di manovra.

Ad esempio, se voglio capire come possa aver perso un cliente che sembrava già chiuso, è probabile che intavolerò con me stesso un dialogo di questo tipo:

  1. “Perché ha deciso di non chiudere con me? Dove ho sbagliato?” – R. “Perché sono stato troppo frettoloso, troppo incalzante, troppo poco sicuro di me…”

Oppure,

  1. “Perché ha deciso di non chiudere con me?” – R. “Perché è un idiota, perché è impreparato, perché è stato consigliato male da altri…”

Ovviamente, le variabili sono infinite e le risposte che mi darò dipenderanno molto dal mio stato mentale, dalla mia visione delle persone in genere, di me stesso, del business, ecc.

Tuttavia, è la situazione, nonché la qualità della domanda in sé (“perché”), a determinare la direzione che prenderà il mio dialogo interno.

Se vado ad interrogare una situazione negativa che si è venuta a creare, come quella dell’esempio, è evidente che la mia mente cercherà tutta una serie di risposte che si focalizzano sul negativo. Che poi riguardi me, gli altri, il contesto o quello che vuoi è indifferente.

Se, al contrario, avessi chiuso il cliente, sia le domande sia le risposte si sarebbero incentrate sul positivo e avrebbero imbastito un dialogo decisamente più edificante.

 

Ripensare il dialogo interno

Il punto è che non è possibile avere molto controllo su un dialogo come questo, poiché sono le stesse premesse a determinarne direzione e focus: l’esito è scontato in partenza poiché inquinato da bias di ogni tipo.

Ora, il dialogo interno (pensiero) non può prescindere dalle domande, ma è possibile scegliere di porsi quelle che allargano le possibilità di risposta anziché restringerle, come nel caso del “perché”.

Anche quelle che vengono spesso consigliate di usare in alternativa alle domande più inquisitorie, tipo “Cosa posso fare per…”, sebbene decisamente più costruttive, andranno comunque a ricercare risposte che, seppur meno statiche delle precedenti, restano confinate all’interno delle soluzioni che più o meno si conoscono già.

È necessario dare respiro a questo dialogo, facendolo uscire dagli schemi e dai confini in cui lo abbiamo costretto finora e questo lo si può fare formulando domande che inducano la mente ad esplorare delle possibilità che altrimenti non verrebbero mai a galla.

E poco importa se tali possibilità possano risultare troppo fantasiose, impraticabili o perfino senza senso: al vaglio di una più approfondita analisi, si è sempre in tempo a cassarle ed a pensare a più concrete alternative.

L’importante è indurre la mente a fare ciò che sa fare meglio: creare, inventare, formulare, immaginare…

 

“E se…”

Due sole parole, tre sole lettere che possono spalancare le porte di una mente irrigidita da pensieri conformati al già visto, collaudato ed approvato.

“E se non avessi sbagliato niente nella mia vendita ed il mio mancato cliente non fosse un idiota, quali altre spiegazioni possono esserci per il suo rifiuto…?”

Un po’ diverso?

Non sto eliminando a priori la possibilità che abbia sbagliato o che il mio cliente sia un idiota… sto solo allargando il ventaglio di possibilità.

Nel coaching, l’uso delle ipotesi è modo potentissimo ed efficacissimo per far uscire la persona dal mondo che si è creato – nel bene e nel male – e per aprirgli nuove strade da percorre.

Si tratta di un’arma straordinaria per, ad esempio, ricontestualizzare un passato difficile e/o per immaginare un futuro più motivante. Poiché passato e futuro sono un “invenzione” della mente (non gli eventi in sé, nel caso del passato, ma gli stati emotivi associati ad essi), le ipotesi ci consentono di attribuire loro un diverso significato e, quindi, cambiare il modo in cui ci relazioniamo con essi.

Il vero potenziale di questa tecnica, però, si esprime nel modo in cui possiamo alterare il presente a nostro vantaggio, inducendoci ad agire da subito su presupposti diversi rispetto a prima.

Avere, essere, fare, riuscire, sapere, potere, dovere, capire, ecc. sono alcuni dei verbi su cui possiamo costruire delle ipotesi. Ad esempio (sempre riferito all’esempio della vendita):

“Come sarebbe cambiato il corso della trattativa SE fossi stato più convinto e grintoso?”

“Quale diversa impressione di te trasmetteresti al cliente SE avessi più autorevolezza?”

“Cosa avresti fatto di diverso SE avessi potuto tornare indietro?”

“Come ti saresti comportato SE avessi saputo prima cosa cercava davvero il cliente?”

“Quante più vendite chiuderesti SE riuscissi a decifrare i segnali che ti trasmette il cliente?”

SE capissi di dover cambiare qualcosa nel tuo modo di vendere, da dove inizieresti?

 

Conclusione

Qualunque siano le risposte che vengono date alle suddette domande, esse non saranno ingabbiate dalla qualità di tali domande, ma daranno al contrario modo di calarsi in una situazione dove si moltiplicano le possibilità a disposizione.

È del tutto possibile porsi in proprio tali ipotesi e darsi delle risposte: è certamente un modo sano per almeno iniziare a sondare inedite possibilità.

Tuttavia, il rischio è che, facendo tutto da soli, si scelgano inconsapevolmente ipotesi più gestibili. Se la posta in gioco non è così alta, può anche andare bene; se, al contrario, c’è molto in ballo, è assolutamente consigliabile rivolgersi ad un esterno, meglio un professionista che sappia quali siano le ipotesi da giocarsi per ottenere  poi il risultato migliore, anche se quasi certamente più sfidante.

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Alessandro Carli