La comunicazione aziendale e il pensiero di Hannah Arendt: banalità o successo?
Un articolo di Pasquale Di Matteo
Hannah Arendt, con la sua analisi del processo di Adolf Eichmann, nella seconda metà del secolo scorso ha messo in luce un aspetto cruciale della condotta umana: la banalità del male.
Il lavoro della grande filosofa ha dimostrato come persone ordinarie, considerate comuni e innocue, possano compiere atti atroci, se incapaci di riflessione critica, e offre spunti significativi per la comunicazione aziendale e la gestione dei team.
La ricerca di Arendt invita a riflettere su come le dinamiche di potere e di responsabilità si manifestino anche nel contesto lavorativo, influenzando le pratiche comunicative e la cultura aziendale.
LA BANALITÀ NELLE INDIVIDUALITÀ
Arendt osserva che Eichmann non era un mostro, ma un individuo che eseguiva ordini senza interrogarsi sulle conseguenze delle sue azioni. Non conosceva la verità, ma credeva acriticamente a quanto gli raccontavano e gli ordinavano.
Questo è un valido richiamo alla responsabilità individuale. Anzi è un richiamo fondamentale anche nel contesto aziendale.
Le aziende spesso operano con strutture gerarchiche in cui le decisioni vengono prese ai livelli superiori, lasciando i dipendenti a eseguire compiti senza una comprensione chiara del “perché” dietro le loro azioni.
Tale atteggiamento, se da un lato ingolosisce quegli imprenditori legati a metodi di gestione degli anni Settanta, dall’altro accende i riflettori sulla comunicazione con i sottoposti e sull’alto valore che ritorna all’azienda se tutti i collaboratori sanno che cosa stanno facendo e perché.
Se una persona si sente parte di qualcosa, lavorerà con più passione, perché i suoi sforzi non saranno profusi solo per l’azienda, ma anche per sé, considerandosi una parte dell’azienda stessa.
IMPLICAZIONI PER LA COMUNICAZIONE AZIENDALE
Promuovere una cultura della responsabilità, quindi.
Le aziende devono incoraggiare i dipendenti a riflettere criticamente sulle loro azioni e a comprendere come queste contribuiscano agli obiettivi aziendali, che, inevitabilmente, si ripercuotono sui successi personali dei diversi ruoli dell’organizzazione.
Ciò può essere realizzato attraverso sessioni di formazione e discussioni aperte che stimolino il pensiero critico e la responsabilità personale.
La prima cosa che faccio nelle aziende, quando mi trovo a dover migliorare la comunicazione interna tra i membri, è un gioco: creo gruppi di circa trenta unità a cui propongo un tema spinoso e chiedo a tutti di esprimere un’opinione.
Ovviamente, il tema non deve essere lavorativo, in maniera tale da azzerare e livellare i diversi ruoli: se parlo di lavoro, un responsabile può sentirsi superiore a un sottoposto, e questi in imbarazzo a criticare il superiore; al contrario, se parlo della guerra a Gaza, azzero tali impedimenti.
Ebbene, tra settembre 2023 e luglio 2024, ho assistito a due occasioni in cui qualcuno ha scelto di abbandonare la sala perché non sopportava le opinioni degli altri e, in entrambi i casi, si trattava di responsabili con anni di anzianità in quell’azienda.
Ed ecco il punto: non ci può essere armonia se anche un solo collaboratore non ha la mente aperta al confronto e alla libertà di pensiero, anche se si tratta di un capo.
EVITARE LA BANALITÀ
È essenziale che le comunicazioni aziendali non diventino meccaniche o puramente procedurali; le aziende dovrebbero evitare di ridurre tutto a schemi, liste di regole o semplici ordini e istruzioni, promuovendo, al contrario, un dialogo aperto e una comprensione condivisa degli obiettivi.
E per dialogo aperto intendo aperto a tutti, non con i superiori che dettano ai sottoposti cosa fare e cosa pensare.
Perché, come insegna lo sport, i grandi successi negli sport di squadra non arrivano per caso e non sempre vince il team di fuoriclasse, ma, nella maggior parte dei casi, la differenza la fa la sinergia che sa generare l’allenatore.
Ne prenderò due a esempio: Carletto Ancelotti e Julio Velasco.
Uno dei più grandi allenatori della storia del calcio e uno dei più grandi della pallavolo.
Entrambi non considerati i migliori in assoluto quanto a schemi e tattiche, ma definiti da più parti i numeri uno per capacità psicologiche ed empatiche.
Entrambi sono grandi leader, capaci di ascoltare, ma anche in grado di riprendere il campione di turno quando serve, magari relegandolo in tribuna per fargli capire che conta la squadra e non il singolo.
LA COMUNICAZIONE COME STRUMENTO DI POTERE
Hannah Arendt distingue tra potere e violenza, sottolineando che il potere nasce dalla cooperazione e dalla comunicazione, mentre la violenza dall’ignoranza, dall’acriticità e dall’incapacità di riflettere oltre gli ordini impartiti, al di là della notizia ottriata o di quanto “pensano tutti.”
Nelle organizzazioni, la comunicazione è il mezzo attraverso il quale si costruisce il potere collettivo, proprio come dimostrano Ancelotti e Velasco.
Le aziende dovrebbero implementare strumenti e pratiche che favoriscano la comunicazione bidirezionale e, soprattutto, il rispetto del pensiero di tutti.
Ciò include la condivisione di feedback e idee da parte di tutti e il rispetto delle idee altrui, per creare un ambiente in cui ogni voce sia ascoltata.
Inoltre, è necessario definire le aspettative per prevenire malintesi e conflitti.
Le aziende dovrebbero incoraggiare incontri regolari e check-in per garantire che tutti siano allineati sugli obiettivi e sulle responsabilità.
L’azienda deve indicare linee guida per chi ne fa parte e i leader devono necessariamente riprendere chi non segue tali indicazioni, proprio come sono abituati a fare Ancelotti e Velasco. E se possono riuscirci loro con campioni strapagati, non è impossibile per tutti gli altri.
L’IMPORTANZA DELL’ASCOLTO ATTIVO
Hannah Arendt enfatizza l’importanza dell’ascolto e della comprensione reciproca che, talvolta, sta ai leader imporre per il bene della squadra.
Nella comunicazione aziendale, l’ascolto attivo è cruciale per costruire relazioni solide e per garantire che le preoccupazioni e le idee dei dipendenti siano considerate, nonché per sedare ogni disputa e diatriba personale.
Una cosa che consiglio è creare un ambiente in cui il feedback sia attivamente cercato: ciò può includere sondaggi regolari e sessioni di brainstorming in cui i dipendenti possono esprimere le loro opinioni, sugli sviluppi lavorativi, sulle rispettive mansioni, sul comportamento di colleghi, sottoposti e superiori.
I pettegolezzi sono all’ordine del giorno nelle organizzazioni e sono come metastasi che è meglio tenere sotto controllo prima che determinino malattie incurabili che danneggino l’azienda.
Investire in formazione per migliorare le competenze di ascolto dei leader e dei membri del team può avere un impatto significativo sulla qualità della comunicazione all’interno dell’organizzazione, soprattutto in un contesto sempre più multietnico e multipolare come il nostro.
Per affrontare le sfide che attendono il mondo del lavoro è indispensabile che gli imprenditori creino gruppi aziendali coesi come i grandi team dello sport, allontanando chi non accetta la squadra e chi è guidato dall’ego, così come i leader devono avere la capacità di ascolto, l’empatia, ma anche gli attributi e la decisione di Ancelotti e Velasco.