LA COMUNICAZIONE AZIENDALE NELL’EPOCA DELLA TEMPESTA GEOPOLTICA, PER IMPARARE A VEDERE OLTRE IL RUMORE
Un articolo di Pasquale Di Matteo
Comunicare.
Termine inflazionato, spesso ridotto a tecnica, strategie a strumento.
Il più delle volte, a parlarne è gente che non ha una laurea in Comunicazione, un po’ come se a parlare di medicina fossero l’avvocato, il calzolaio, l’idraulico o l’informatico.
Non a caso, si affrontano quasi sempre temi che, seppur importanti, sono secondari nella comunicazione, come l’ascolto attivo, come parlare in pubblico, o lo storytelling persuasivo.
Tutto vero e necessario, ma radicalmente insufficiente. Soprattutto oggi e, ancora di più, domani.
La vera comunicazione strategica, per un’organizzazione contemporanea, è, prima di tutto, comprensione del mondo intorno a noi.
Un tempo c’era una pubblicità geniale il cui slogan era “tutto intorno a te”, ricordi?
Ecco, capire quel mondo è diventato l’atto più importante per una comunicazione aziendale professionale, matura, intelligente ed efficace.
Comprendere il mondo complesso, caotico, interconnesso in cui l’azienda è immersa non è un esercizio intellettuale, ma si tratta di una questione di sopravvivenza esistenziale.
L’azienda che crede di potersi limitare a “parlare bene” ai propri stakeholder, senza prima aver sviluppato una visione profonda dei mercati, delle forze geopolitiche, delle fratture sociali e tecnologiche che ne alterano gli equilibri, è come una nave dotata di una radio di bordo all’avanguardia mentre il suo equipaggio ignora la tempesta all’orizzonte.
Comunicare efficacemente inizia molto prima di aprire bocca o di inviare un tweet.
Inizia con l’interpretazione del contesto globale.
Per esempio, un eventuale conflitto in Medio Oriente, sempre più probabile, è una dimostrazione tangibile di conseguenze a cascata, calcolabili, devastanti per il tessuto produttivo italiano.
Lo so, a te non interessa la politica, non guardi la TV e non leggi i quotidiani. Non credi alle notizie, devi lavorare e non hai tempo.
Tuttavia, ignorare le implicazioni di quanto accade nel mondo non è ingenuità, ma miopia strategica.
Continuando con l’esempio, ecco cosa provoca un conflitto in Medio Oriente, anche alla tua azienda.
La crisi energetica.
Circa il 30% del nostro approvvigionamento energetico arriva dalle regioni mediorientali. Un conflitto significa interruzioni, picchi dei prezzi, una bolletta aggiuntiva che potrebbe replicare i picchi miliardari del triennio 2022-2024.
Per le nostre PMI, già in affanno, questo si traduce in un gap competitivo insostenibile rispetto a chi dipende meno da quelle rotte. È una stangata che strozza l’innovazione, la crescita e, di conseguenza, l’assunzione.
L’Implosione delle esportazioni.
Il Medio Oriente vale circa 26 miliardi di export italiano annuo. A occhio e croce, un bel 4% del totale.
Un conflitto regionale rischia di cancellare questo mercato, con perdite paragonabili ai -16,6 miliardi già sperimentati con Russia e Ucraina.
Settori trainanti come meccanica, automotive e beni strumentali, già in difficoltà per la recessione tedesca, con -22,9 miliardi di export verso la Germania, subirebbero un colpo durissimo. Per molti, devastante.
Il soffocamento finanziario.
L’instabilità geopolitica è benzina per l’incendio dell’inflazione, situazione che costringerà di nuovo la BCE ad alzare i tassi.
Replicheremmo i miliardi di oneri finanziari aggiuntivi del recente passato, mentre il credito alle imprese è già sempre più contratto. E si sa: anche le migliori idee muoiono per mancanza di ossigeno finanziario.
La paralisi logistica.
Il blocco dello Stretto di Hormuz o di altre rotte critiche è uno scenario concreto, con conseguenti costi di trasporto alle stelle (+30-50%), ritardi cronici nelle forniture. Costi che andrebbero a sommarsi ai dazi e tutti gli altri oneri.
E se il conflitto degenerasse?
Gli scenari diventerebbero apocalittici: recessione globale, sanzioni estese, mobilitazione industriale forzata con perdita di competitività civile, iperinflazione, collasso delle supply chain per mancanza di semiconduttori e metalli rari. Insomma, la tempesta perfetta.
Le PMI sono in prima linea in questi scenari poiché hanno meno scudi per assorbire l’urto.
Ma se la comprensione del contesto salva le imprese, la cecità che spesso si accompagna a idee per cui “si è sempre fatto così” le condanna.
Comprendere il mondo non è perdita di tempo né un lusso accademico, ma è l’ossigeno della strategia migliore possibile.
È l’antidoto alla sorpresa, il radar che individua non solo le minacce potenziali, ma anche le opportunità nascoste nelle pieghe del caos di questi tempi, in cui ogni ora accade qualcosa di nuovo. E sempre peggio.
Chi interpreta per primo le correnti geopolitiche, chi legge i segnali deboli nei mercati, chi intuisce le prossime fratture logistiche, non solo si protegge, ma guadagna un vantaggio decisivo sui competitor, perché si muove mentre gli altri sono paralizzati.
La comunicazione d’impresa più potente inizia con domande scomode rivolte al mondo. Cosa accade davvero là fuori? Quali forze stanno rimodellando il nostro orizzonte? Quale scenario ci sarà domattina? E il prossimo anno? E tra cinque?
Costruire un “Sistema Nervoso Centrale” per la geopolitica aziendale non è un’idea, un’opzione o una delle tante strategie possibili, ma è un imperativo.
Un ufficio dedicato, occhi e orecchie costantemente puntati sul mondo, che trasformi il rumore di fondo in germogli da cui far crescere la migliore strategia di branding possibile, supportata da scenari previsionali e piani d’azione concreti.
Se sai cosa ti aspetta, se sei pronto a vedere oltre la via davanti all’ingresso della tua azienda, hai il segreto per fare la differenza tra essere travolto e navigare la tempesta, perché hai la capacità profonda, incessante, coraggiosa di comprendere per comunicare. E di comunicare per agire.
Il futuro non attende. Vediamolo arrivare.
Se hai bisogno di una consulenza per allestire occhi e orecchie della tua azienda sul mondo, non esitare a contattarmi:
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