L’influenza dei media sulle percezioni del brand

Un articolo di Pasquale Di Matteo

 

Nel panorama mediatico contemporaneo, la distinzione tra contenuto editoriale e promozionale si fa sempre più sfumata, tanto che è diventato impossibile stabilire chi sia invitato a partecipare a un dibattito in televisione in virtù delle sue competenze e chi, invece, grazie all’acquisto di uno spazio.

Infatti, come tanti professionisti sanno bene, non passa giorno in cui non arrivino mail di proposte per acquistare pagine su quotidiani, redazionali, blog, oppure interventi in televisione, e non solo su testate e media di seconda fascia, ma anche a diffusione nazionale.

Professionisti in ascesa e brand emergenti si trovano di fronte a un bivio: investire in spazi pubblicitari camuffati da opportunità editoriali o rischiare di rimanere nell’ombra del mercato sempre più competitivo?

Perché le persone comuni, che non conoscono tali meccanismi, sono portate a ritenere migliore un professionista ospite fisso in un talk show piuttosto di un altro mai invitato in televisione, anche se non è affatto scontato che il secondo abbia meno competenze.

La tendenza di acquistare visibilità su quotidiani, blog e programmi televisivi nasce dalla crescente necessità di affermarsi nel proprio campo.

La presenza sui media tradizionali, come la televisione o le pagine di un giornale di rilievo, è percepita come un sigillo di legittimità, un marchio di qualità.

Questo fenomeno chiama in causa la psicologia sociale che dimostra come la frequenza e la prominenza della visibilità mediatica siano spesso interpretate come indicatori di successo e affidabilità.

Tuttavia, questa corsa alla visibilità pone questioni etiche significative.

La linea tra ospitata autentica e autopromozione pagata si assottiglia e, se funziona ancora alla grande con un pubblico che non conosce le dinamiche della comunicazione moderna, d’altro canto mina la fiducia dell’audience più attenta e qualificata.

Inoltre, la pratica di “pagare per giocare” può creare un ambiente in cui solo chi ha risorse finanziarie sufficienti può permettersi di essere ascoltato, escludendo voci potenzialmente valide ma meno abbienti.

Certamente, è dalla notte dei tempi che chi ha più risorse per pubblicizzarsi gode di un vantaggio competitivo indiscutibile, quanto legittimo, perché non è un reato avere maggiori disponibilità finanziarie, tuttavia, nel caso trattato in questo articolo si trascende la mera pubblicità.

Si entra, di fatto, in un meccanismo che somiglia più allo scientismo, alla formulazione di dogmi costruiti grazie a narrazioni che non sempre corrispondono al vero, un insieme di circostanze che confinano con la frode.

Perché se io pago uno spazio in cui racconto ciò che voglio e vengo presentato come un esperto, qualunque cosa io dica sarà giudicata in maniera più autorevole rispetto a tesi opposte, ma espresse da chi non va in televisione né viene intervistato da quotidiani importanti.

In questo contesto, diventa difficile per i professionisti e i brand trovare un equilibrio tra visibilità e integrità, così come è sempre più complicato competere con chi ha le disponibilità per proporsi sui media come esperto e competente, nel caso di persone fisiche, oppure eccellente, salutare e/o performante, nel caso di brand.

Ovviamente, ci sono testate ed editori che sono attenti a chi promuovono, tuttavia, non illudendoci, sappiamo come il dio denaro sia capace di appianare ogni tipo di perplessità.

Non a caso, in passato abbiamo visto personaggi che erano ospiti fissi in trasmissioni sulla salute, professionisti che apparivano esperti sulla materia, dei luminari, che poi sono stati denunciati perché proponevano diete o trattamenti e rimedi che erano pericolosi per la salute.

Tuttavia, nel momento in cui molti media si reggono in piedi grazie ai tanti ospiti paganti, diventa fondamentale per i consumatori sviluppare un senso critico più acuto, distinguendo tra contenuti genuini e quelli influenzati da interessi commerciali.

Ancora una volta, si dimostra come il vecchio adagio “lo hanno detto in televisione” non è necessariamente indice di qualità.

Pertanto, quando vedete un giornalista, uno scienziato, un professore, un qualsiasi esperto di qualsivoglia materia, ricordate che non è detto si tratti di un professionista migliore di altri che non hanno soldi da investire in queste nuove tendenze pubblicitarie.

Purtroppo, l’esasperazione della comunicazione, del veicolare competenze a ogni costo, dell’apparire autorevoli nel minor tempo possibile, ha prodotto queste tendenze ed è facile supporre che in futuro saranno sempre più utilizzate.

D’altronde, da esperto di comunicazione, non posso far finta che l’indicizzazione non sia importante e che acquistare spazi per essere “ospite” in trasmissioni molto seguite non renda in termini di engagement, tuttavia, le persone dovrebbero essere educate a saper leggere i media, a conoscere tali dinamiche comunicative.

Perché solo conoscendo questi meccanismi di comunicazione, le persone saranno vaccinate contro la possibilità di diventare vittime di potenziali millantatori.

Al tempo stesso, i professionisti seri possono sfruttare queste opportunità per elevare il proprio nome, fino a farne un brand, in un tempo relativamente breve.

Pasquale Di Matteo