LO STORYTELLING È MORTO. VIVA LA VERITÀ
E SE NON VI PIACE, LEGGETE COMUNQUE. NON È UN COPYPASTA.
Un articolo di Pasquale di Matteo
- TUTTI NARRATORI, POCHI DICONO QUALCOSA
Oggi chiunque abbia un account social è un “narratore”.
Peccato che tutti raccontino la stessa storia: quella rubata al post dell’amico, che a sua volta copiava un reel della settimana prima, che citava un tweet del mese scorso, estrapolato da un articolo del 2014.
Un circolo vizioso di banalità e sciocchezze perpetue che alimentano la cultura del nulla e il sapere del niente.
Avete mai avuto la sensazione di essere più confusi di prima, dopo aver letto venti post su “Come comunicare in maniera efficace”, bombardati da parole e concetti tutti uguali?
Non è un caso.
È il paradosso del nostro tempo: più si parla di storytelling, meno si dice qualcosa di vero.
Uno su mille ce la fa, avrebbe cantato Gianni Morandi. Più o meno è quanto avviene oggi.
Se escludiamo i contenuti rubati ad altri, quelli che citano articoli dai concetti superati da anni, e anche quelli che riescono persino a copiare e incollare sé stessi, sono pochi i post e gli articoli che vale la pena ricordare.
Lo storytelling era nato per creare connessioni, non per clonare contenuti.
Ma quando la tecnica diventa un template da riempire con parole vuote, si trasforma in un esercizio di retorica più tossica di un ufficio pieno di fumatori che se ne infischiano dei cartelli. E degli altri.
Titoli acchiappa-like, emozioni simulate, storie di riscatto prefabbricate. A leggere la gran parte dei contenuti, sembra di guardare un film dove tutti recitano la stessa parte di un copione scritto da ChatGPT, revisionato da un bot, e condiviso da un esercito di influencer che non sanno distinguere Platone dall’eroe che dispensa saggezza tra una briscola e un bianchino, a un tavolo da “Gigi il troione”.
- IL CADAVERE DELLO STORYTELLING: QUANDO LA FORMA HA UCCISO IL SENSO
Lo storytelling non è morto di vecchiaia.
È stato strangolato da chi non aveva nulla da dire, ma voleva comunque dirlo con una strategia che funzioni.
Un tempo, le storie servivano a trasmettere valori, a emozionare, a far pensare.
Oggi, dove chi pensa è antipatico, le storie servono a vendere corsi su “come vendere corsi”, attraverso schemi tutti uguali: il primo video gratis, in cui ti raccontano i successi ottenuti da pinco pallo qualsiasi. Poi una seconda serie di video, gratis o a poco prezzo, solo per sentirti dire, all’ultimo minuto, che ciò che hai visto serve come conoscere il meteo su Saturno.
Perciò, ecco il corso vero. Costa un rene, spesso due. Ma vuoi mettere?
Mettere cosa?
Niente. Perché un corso online che non sia riconosciuto dal MIUR come titolo universitario vale come i soldi del Monopoli.
Ma viviamo in quest’era degli esperti senza titoli, la cui unica competenza è vendere. Un esercito di Wanna Marchi legalizzati che non aggiungono alcun valore. Se non ai loro conti correnti.
È come se avessimo svuotato il Louvre per riempirlo di sticker su “come vendere i tuoi quadri sfruttando il web”. Vi ricorda qualcosa? O più di qualcuno?
Il problema è l’ossessione per la forma perfetta. – Beh, sì, anche l’ossessione per mostrarsi qualcuno che non si è, senza studiare e lavorare sodo per diventarlo, ma lo do per implicito. –
Perciò, ecco post e articoli con titoli in maiuscolo, call to action ipnotiche, grafiche che brillano più delle idee. Quasi sempre molto più delle idee.
Tutte cose che, a livello di strategia, sono fatte bene, ma sotto quella patina c’è il nulla. Anzi, peggio: c’è la menzogna di chi parla di lavoro senza aver mai lavorato, di successo senza aver fallito, di leadership senza aver guidato nessuno, di innovazione spacciando per efficaci strategie paleolitiche del 2020.
Lo chiamano storytelling, anche se è diventato l’arte di vendere fuffa con la scusa delle emozioni.
Il più delle volte, è fatto anche in maniera pessima.
- CHATGPT, CANVA E IL CULTO DEL POST PERFETTO
Non è colpa di Chat GPT se i contenuti sembrano scritti da uno stagista travestito da guru. – Lo so, non andrebbero scritti da AI, ma sei convinto che certi personaggi abbiano mai scritto qualcosa prima del 2022?
Il problema è chi usa ChatGPT perché senza non riuscirebbe a scrivere nemmeno una mail.
Perché studiare, approfondire, riflettere, quando puoi chiedere a un bot di scriverti “5 strategie per…”?
Così, ecco un feed pieno di “visionari” che ripetono slogan come pappagalli con la certificazione in ovvietà.
Certo, agli occhi di chi ha studiato all’università e non su YouTube, risulta materiale per il festival di “Scemo e più Scemo”, ma in una società superficiale, sempre più ignorante, e che, come certificato dai recenti studi sociologici, per il 33% non è in grado neppure di comprendere un testo scritto – figuriamoci scriverlo senza Chat GPT – lo schema Wanna Marchi funziona.
E Canva?
Uno strumento potentissimo, per chi ha un minimo di conoscenza di grafica, di psicologia del colore, ma è usato anche per produrre caroselli di frasi motivazionali scritte da chi non ha mai superato un esame senza copiare. Perché siamo nell’era dove è meglio apparire perfetti che essere autentici.
Peccato che, spesso, quel “perfetto” si riveli più falso dei Rolex venduti in un mercato rionale.
- L’ERA DELLA CONTRADDIZIONE: SERVE VERITÀ, NON NARRAZIONE
Viviamo tempi turbolenti. Crisi economica, guerre, disinformazione.
E la risposta di chi opera nel campo della comunicazione? “Facciamo storytelling!” e vendiamo “Strategie per l’ascolto”. Come curare una ferita da arma da fuoco con un cerotto glitterato.
E ascolto? Di cosa se la maggior parte di questi personaggi non sa nemmeno distinguere la differenza tra il Diritto di un paese Common Law e uno Civil Law?
Infatti, Linkedin è pieno di “manager e leader” pronti a criticare chiunque osi parlare di cose serie, con frasi da diploma in “sciocchezzerie”, tipo “Questo non è Facebook, ma una piattaforma per il lavoro.”
Agli occhi di chi non ha soltanto spazio vuoto tra le orecchie, suona come la gag di Ficarra e Picone, “Dio Mio, tua figlia vuole studiare all’università, invece di fare la velina?! Ma dove siamo finiti?!”
A questi personaggi, molti dei quali fautori del famoso “ascolto”, non darei da guidare nemmeno la mia bicicletta scassata. Altro che uffici o aziende!
Perché, nella loro superficialità, non hanno nemmeno la competenza base, per cui riconoscere che tutti siamo legati in maniera profonda a quanto accade nel mondo. Se scoppia una guerra a tremila chilometri di distanza, se la politica decide di investire in armi o in auto elettriche, se alcuni paesi chiudono o aprono le frontiere… tutto determina aumenti di costi energetici, interessi per prestiti, chiusure o aperture di mercati, cambi di strategie aziendali.
Come prima cosa, saper ascoltare, significa che sei in grado di capire dove vivi. Altrimenti, indossa un paio di cuffie e taci, che farai meno danno. In azienda e fuori.
Ma viviamo in un’era in cui si promuovono gli incompetenti, perché, troppo spesso, chi promuove è ancor meno competente. E, in questo stato di cose, in cui tutto sembra svilupparsi per funzionare al contrario, la verità è che nessuno ha bisogno di un’altra storia costruita per divulgare contenuti intelligenti e interessanti.
Tuttavia, se una qualunque attività vuole sopravvivere a questo mondo e prepararsi al meglio per il futuro, deve invertire la rotta, dando spazio alle competenze. Alle persone, non ai personaggi. A chi sa ascoltare, informarsi e leggere cosa accade nel mondo.
Non a chi parla di “ascolto attivo” perché Chat GPT gli ha scritto così nell’articolo.
Perché la credibilità non nasce dai filtri, ma dalla coerenza, da ciò che conosci veramente, dai tuoi studi reali, dalle letture.
E coerenza non è nemmeno dire “sono vulnerabile” in un post studiato per sembrare spontaneo, ma è alzarsi la mattina e fare ciò che sai fare, studiando per colmare le lacune di ciò che non conosci.
- IL CORAGGIO DI SAPERE
C’è chi accusa i competenti di essere “tuttologi”, poi s’incazza quando legge che gli italiani non si vaccinano più, quando scopre che alcuni paesi stanno vietando le scie chimiche, o che la Russia non è crollata entro la fine del 2022 grazie alle sanzioni dirompenti dell’Occidente, come raccontavano quelli che consideravano sapienti.
D’altronde, il primo requisito per un comunicatore è saper ascoltare. E il primo requisito dell’ascolto è avere la capacità di analizzare il mondo, di distinguere le panzane fin da subito, senza aspettare che arrivi il tempo a mostrarle anche ai ciechi.
Chi sa comunicare davvero fa paura a chi ha sempre barato. Perché comunicare richiede il coraggio di dire “non so”, di approfondire, di cambiare idea. Di non commentare quando un articolo o un post sembrano solo un mare di sciocchezze. E sì, anche il coraggio di dare dell’idiota a un idiota, talvolta.
E tranquilli, il reato di ingiuria è stato depenalizzato dal decreto legislativo n. 7 del 2016.
- COMUNICARE, CERTO, MA NON FUFFA
Lo storytelling è morto. Sepolto sotto tonnellate di contenuti clonati, di emozioni finte, di guru che parlano al futuro con gli occhi fissi sul numero dei like.
Ma c’è speranza e si può uscire dalla logica dei fuffaguru e delle “strategie di comunicazione aziendali efficaci” che erano superate già prima del Covid.
Basta smetterla di inseguire chi sembra omologato a tanti altri, chi segue l’algoritmo, e iniziare ad affidarsi a chi è diverso. Perché in quella diversità si nota una vera conoscenza, che non ha bisogno di copiare qualcuno. Perciò, fa ben sperare.
Basta con le storie inventate. Serve verità, anche scomoda. Anche se non fa engagement.
Perché alla fine, ciò che resta non è il post virale. È la reputazione di chi ha avuto il coraggio di dire cosa pensava, quando tutti urlavano il contrario. E per un’azienda, la reputazione non è solo brand, ma è tutto.
E se non leggete, non studiate, non approfondite, un consiglio: non usate commenti su tuttologia o altre sciocchezze, perché quello è il modo più rapido che gli ignoranti hanno di certificare la propria ignoranza. A livello di reputazione, è disastroso.
Lo storytelling è morto. Viva chi ha ancora le palle. Una per studiare e approfondire, in modo da sapere sempre di più. L’altra per divulgare il PROPRIO sapere. Non quello copiato da altri.
Interessante, vero, feroce, condivisibile, ..
Applicabile?
Siamo sicuri che tutti abbiano due palle?
In mancanza meglio seguire chi si comporta avendole. Nella speranza di un inaspettabile ritrovamento. Di palle.