L’UOVO AL TEGAMINO

Un articolo di Alessandro Carli

 

Se la sola cosa da mangiare che io abbia mai preparato nella mia vita è un toast, ma vorrei ampliare le mie competenze culinarie, da dove inizio?

Diciamo, da un uovo al tegamino?

Mi sembra ragionevole, no? E che ci vuole?

Prendo un uovo, lo metto in una padella e… voilà: uovo al tegamino!

Forza, allora: prendo l’uovo e… mannaggia, come lo tiro fuori quello che c’è dentro? E niente, devo aprirlo.

Okay, chill: no problem! Prendo l’uovo, lo sbatto sul bordo di una terrina e… dannazione, troppo forte: il tuorlo si è sfatto e devo ricominciare daccapo.

Dai, ce la posso fare… Prendo un altro uovo, lo sbatto più dolcemente e non succede niente. Allora sbatto più forte… sempre… più… forte… finché il guscio s’incrina: ok, ci siamo!

Porto l’uovo aperto verso i fornelli dove c’è… dove ci DOVREBBE essere la padella riscaldata col burro sciolto, MA NON C’E’!

Con una mano tengo l’uovo, facendo attenzione di non rovesciarne il contenuto, e con l’altra tiro fuori la padella da mettere sul fornello, quindi prendo il burro, ne taglio un pezzo e lo adagio sul fondo della padella.

Aspetto che il burro cominci a sfrigolare un po’ e poi ci metto dentro l’uovo.

Fantastico, sembra tutto a posto: metto un coperchio sopra la padella e aspetto che la cottura sia ottimale.

Dopo qualche minuto, apro il coperchio e vedo che il tuorlo si è del tutto solidificato: a me, invece, piace più liquido. In ogni caso, lo assaggio e… non ci avevo neanche messo il sale!

Va bene: butto via tutto e riparto daccapo, ma più velocemente e, questa volta, lo cucino meno e ci metto il sale…

 

La strega che va al villaggio

Mentre leggevi sopra, probabilmente ti sarai chiesto per quale diavolo di motivo io abbia sprecato preziosi byte per raccontare una storia così banale.

E comunque, l’hai letto e sei andato veloce per capire dove volessi arrivare, quale fosse il messaggio o come sarebbe andata a finire.

Ma è poi finita, la storia? No, perché sembra essere rimasta un po’ in sospeso…

Volevi sapere come sarebbe andata a finire  e, invece, non lo sai perché non l’ho scritto e hai la sensazione (anzi, la certezza) di aver solo perso tempo… con tutto quello che hai da fare!

Ma è davvero così? Hai solo perso tempo?

Be’, qualcosa lo hai perso di sicuro, poiché visto che a te interessava soltanto arrivare alla fine, al risultato, al sodo, al dunque – che non ti ho dato! – quello che ti sei perso è tutto il viaggio.

È così che quasi tutti noi viviamo le nostre vite, il nostro lavoro, i nostri obiettivi, le nostre avventure: con l’ossessione di sapere come andrà a finire e quando questa fine non la si vede arrivare, ci sembra d’impazzire!

Hai presente quando un libro o un film (quelli in streaming) ti prende così tanto da non poterlo mettere giù o interrompere? Perché? Perché vuoi sapere come andrà a finire: la nostra mente ODIA tutto ciò che rimane aperto, che resta in sospeso… ha bisogno di un punto, non di una virgola.

Hai mai letto una storia ad un bambino di 4-6 anni? Mentre gliela racconti, t’interrompe continuamente per approfondire ciò che gli stai raccontando.

Se ad un certo punto appare una strega, tu gli dici che appare una strega che va verso un villaggio per

T’interrompe facendoti mille domande: ma aveva la scopa, da dov’è uscita, perché va al villaggio, è brutta, è vestita di nero, è cattiva, com’è diventata una strega…?

E questo t’infastidisce perché tu conosci già il finale, sai che è entusiasmante e che piacerebbe tantissimo al bambino, ma tutte queste domande smorzano il coso, lì… il pathos!

Ma a lui non gliene frega niente del pathos: lui vuole entrare nella storia, vuole diventarne il protagonista, vive il racconto passo per passo e finché il senso di ogni attimo non gli è chiaro, non ti molla, non ti lascia andare avanti.

 

Il viaggio è più importante del traguardo

Molte persone sono infelici, depresse, frustrate o isteriche perché non stanno vivendo la vita che vorrebbero e non la vivono perché, pur avendo ben chiaro quale sia questa vita ideale, se la immaginano troppo in avanti nel tempo e, soprattutto, troppo diversa da quella che stanno vivendo.

Non esistono obiettivi troppo ambiziosi o aspettative troppo irragionevoli, ma esiste un processo che non possiamo eludere.

Non c’è alcuna differenza tra imparare a fare un uovo al tegamino e preparare un’anatra all’arancia, salvo che per riuscire a fare la seconda, devi innanzitutto saper fare il primo.

Se parti da un toast, un uovo al tegamino  è un grande traguardo: tutti i grandi chef sono partiti da un uovo al tegamino, ma ciò che li ha resi grandi non è quello che sono riusciti a realizzare, ma il percorso che hanno seguito con diligenza, passione e… sì, anche fede.

Prima ho parlato di un bambino… ora ti parlo di un vecchio.

Quando senti una persona anziana raccontare episodi della sua vita, con le sue vittorie e le sue cadute, di cosa parla, esattamente?

Certo, ti racconterà di quella volta che è riuscito o ha fallito in qualcosa, ma solo come riferimento. In realtà, su cosa si sofferma?

Su quella volta che, inseguendo un obiettivo, ha dovuto, ha subìto, ha scelto, ha pagato, ha sofferto, ha stretto i denti, si è sentito crollare il mondo addosso, ha gioito, ha condiviso, ha cambiato il modo di vedere le cose, ha amato…

Dal momento in cui si abbandona il bambino a quello in cui si tirano i remi in barca, siamo continuamente focalizzati su un obiettivo dopo l’altro e non facciamo caso a tutto ciò che ci accade e a come vi rispondiamo, ma solo al successo che avremo conseguito o alla sconfitta che abbiamo subìto… entrambe cose insignificanti ai fini della nostra crescita.

Il bambino si sentiva spontaneamente attratto dal viaggio, dall’avventura, mentre il vecchio ha imparato ad apprezzarli solo dopo molto, molto tempo, una volta giunto al tempo di consuntivi.

 

Conclusione

Successi e fallimenti sono soltanto pietre miliari che ci indicano dove ci troviamo, ma non ci dicono né come siamo arrivati fino a quel punto né come correggere il cammino se non ci troviamo dove vorremmo essere.

E come lo usiamo quel vuoto?

Per fare congetture e speculazioni senza alcun fondamento. Magari pensiamo di aver avuto successo grazie alla nostra determinazione, quando invece è perché siamo stati aperti e comprensivi col nostro team.

O, al contrario, pensiamo di aver fallito perché siamo stati troppo teneri col nostro team, quando invece è stato a causa della nostra ostinazione.

Non sapremo mai quali siano le cause dei nostri risultati finché, come un bambino, non interrogheremo i vari passaggi del nostro viaggio ed avremo così un quadro più realistico della situazione.

Oppure, ci accontentiamo di un uovo al tegamino.

 

Alessandro Carli

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Ad un coach non interessano minimamente i tuoi successi o fallimenti: gli interessa come ci sei arrivato.

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