Miglioramento continuo: quando una critica diventa il punto di svolta
Un articolo di Patrizio Gatti
Certe lezioni non le impari sui libri.
Le impari sul campo, quando ti trovi davanti a chi non crede in quello che stai per insegnare e in qualche modo lo devi convincere con i fatti.
Marzo 2002. Provincia di La Spezia. Una piccola azienda metalmeccanica.
Era uno dei miei primi incarichi come formatore. Avevo appena finito un corso con i dirigenti su just in time, performance di magazzino e sul Kaizen, cioè il miglioramento continuo passo passo in giapponese.
Il direttore era molto contento degli argomenti trattati e mi disse:
“Domani, stesso tema, ma con tutti i dipendenti dell’officina. Vogliamo portarli dentro questo cambiamento.”
Il giorno dopo, in officina, eravamo in dodici dipendenti oltre i soci e il direttore.
La metà seguiva con attenzione. Gli altri, tra lo svogliato e il distratto. Due, in particolare, proprio altrove con la testa.
Decisi allora di partire dalla realtà del loro ambiente di lavoro.
Gli chiesi di guardarsi intorno e di pensare a cosa avrebbero potuto migliorare nell’immediato.
Parlai di banconi ordinati e liberi da attrezzatura non più utile, di utensili messi dove servono e pronti all’uso e non lasciati fuori posto, della pulizia delle attrezzature e della verifica sempre per il corretto funzionamento.
Non erano solo “regole” di organizzazione: erano piccoli gesti quotidiani che, sommati, fanno risparmiare tempo, riducono errori e aumentano la sicurezza nel lavoro. E queste semplici regole, che sembrano così scontate, sono in realtà una delle basi del Kaizen, per cui ogni cosa può essere resa un po’ migliore, ogni giorno, da chiunque.
Mentre parlavo, uno dei dipendenti più giovani cominciò a sbuffare e sbottò:
“Ma dobbiamo davvero perdere tempo con un consulente che ci dice di pulire? Lo sappiamo già.”
Mi fermai. Dieci secondi di silenzio. Non è stato facile mantenere la calma,
Poi, risposi:
“Se la direzione ha scelto di fare un corso e dedicare tempo e soldi a questo incontro, sapendo bene di cosa avrei parlato, un motivo c’è.”
Il titolare colse l’attimo e disse al lavoratore:
“E tu, quanto è che non sistemi il tuo banco di lavoro?”
Il ragazzo abbassò lo sguardo:
“È vero.”
Da lì, tutto cambiò.
L’atmosfera si sciolse e iniziarono a emergere racconti di attrezzi persi, ore sprecate, lavori rifatti. Quella mezza giornata si trasformò in un laboratorio di idee concrete.
Nei giorni successivi, con alcuni dei dipendenti con cui avevo rotto il ghiaccio, iniziammo a lavorare fianco a fianco per trovare soluzioni pratiche. Il rapporto di collaborazione che si creò fu decisivo per arrivare ai risultati che poi la direzione e la squadra avrebbero condiviso con orgoglio.
La settimana dopo, tornando in azienda, il capo officina mi accolse con un sorriso:
“Vieni, voglio farti vedere una cosa.”
L’officina era diversa: banchi ordinati, macchine pulite, attrezzi a portata di mano.
E soprattutto, persone contente di farmi vedere il miglioramento:
“Adesso qui risparmiamo minuti ogni giorno. E lavoriamo meglio.”
E se c’è una cosa che questa storia mi ha insegnato, è che la motivazione non nasce da una bella presentazione con slides.
Nasce quando chi ascolta vede che tu ci credi davvero e che quello che proponi funziona anche nella realtà.
Il miglioramento continuo non è teoria: è vedere un banco ordinato e sapere che lì, ogni giorno, si lavora meglio di ieri.
E tu cosa ne pensi?