Nel mondo del lavoro meglio passione o guadagno?
Un articolo di Roberto Lambruschi
Nell’attuale mondo del lavoro, scegliere tra un impiego che si ama o uno che offra sicurezza economica è una decisione cruciale. Spesso si sacrifica l’ambizione per un impiego più remunerativo, nella speranza di garantirsi una vita agiata. Tuttavia, non sempre è possibile monetizzare le proprie passioni tanto da renderle una professione a pieno titolo. Infatti non tutte le passioni, declinate in attività professionali, hanno un mercato tale da giustificare tale decisione.
La scelta tra lavorare per passione o per denaro influenza profondamente la qualità della vita e la realizzazione personale. Chi ha sempre lavorato in un settore che non riflette i propri interessi può trovare questa decisione particolarmente impegnativa, ma essenziale per il proprio benessere. Lavorare per passione può portare a una maggiore realizzazione personale, mentre un lavoro ben retribuito può garantire una stabilità economica necessaria per affrontare le sfide quotidiane.
Lavorare con passione significa dedicarsi a un’attività che si ama, che stimola e gratifica. Ciò migliora –in linea di principio- la qualità del lavoro, contribuisce a un ambiente di lavoro positivo e produttivo e permette di vivere una vita più piena e soddisfacente. Tuttavia, lavorare seguendo completamente le proprie passioni non sempre garantisce una sicurezza economica.
Al contrario, scegliere ambiti professionali più ricercati e con un mercato in crescita può offrire stabilità economica, ma può anche diventare monotono se non si trova soddisfazione in ciò che si fa. Ogni giorno passato in un’occupazione che non ispira o dove non si trova una reale motivazione può sembrare una fatica inutile tanto da portare alla somatizzazione di detto malessere.
Trovare un equilibrio tra ciò che piace fare e la necessità di un lavoro sicuro è una sfida comune di molti: un approccio – magari volto a due part time che possano bilanciare la situazione- permette di coltivare i propri sogni senza rinunciare a una fonte di reddito stabile, creando un bilanciamento tra ambizioni personali e esigenze finanziarie.
Avvicinarsi al mondo dei cavalli unito al Sociale: una scelta ambiziosa, nobile o illusoria?
Questa tematica è la risultante di un relativamente lungo periodo di riflessione unito ad anni (tanti, almeno ventotto) di lavoro nel settore dell’ippoterapia, ambito che coniuga una mia grande passione –quella per i cavalli- al servizio del Sociale, altro settore dove ritengo di avere una certa sensibilità e competenza professionale.
Il “contenitore” più adeguato nel quale si svolgono le attività equestri volte alla riabilitazione di soggetti deboli e l’educazione volta a sviluppare competenze residuali mediate dalla potente facilitazione della relazione ed attività integrate con i cavalli è quello dello sport poiché altre forme giuridiche sarebbero improponibili ed eccessivamente impattanti sul fronte economico.
Grazie a questo “contenitore” vi è la possibilità (e la realtà nella quale opero è capofila di questo indirizzo e filosofia) di allargare il bacino di utenza, non solo rivolgendoci al mondo delle disabilità “vere e proprie”, ovvero quelle più conosciute e risultanti da specifiche patologie, ma anche a soggetti cosiddetti “deboli”, ovvero caratterizzati da fragilità alle quali non corrisponde una patologia definita, ma che hanno limitazioni di carattere emozionale, comportamentale, relazionale. Pensiamo solo ai danni “indiretti” che ha creato la pandemia Covid-19 in molti cosiddetti “sani”: attacchi di panico, problemi relazionali, disturbi della personalità, paura di uscire di casa, di interagire con i pari…
Bambini, ragazzini o adulti che, grazie al cavallo ed al contenitore dello sport “educativo” possono partecipare in un contesto accogliente, facilitante e lavorare sulle loro potenzialità, autostima, efficacia personale e molto altro.
Purtroppo in Italia le professioni educative, soprattutto, e riabilitative, in ampia misura, sono considerate di “minor valore” rispetto ad altri lavori, certamente più produttivi. Questo probabilmente per una visione miope che non vuole vedere i ritorni e benefici a lungo termine dei settori educativo e riabilitativo in generale, a scapito di ambiti dove i risultati meramente economici sono più facilmente apprezzabili a breve termine.
Il mondo dello sport continua a vedere obblighi, imposizioni burocratiche, balzelli e tassazione sempre più spinte. La recentissima riforma dello Sport è l’ultima evoluzione di un crescendo di richieste ed adempimenti che tolgono attenzione al vero scopo statutario dei sodalizi sportivi (ricordiamo No Profit) per imbrigliarli sempre più in eccessive attività amministrative, contabili e di adeguamento a leggi spesso nate con le più nobili intenzioni, ma declinate in modo da renderle inattuabili, onerose, ostacolanti… Il tutto in chiave onerosa per le associazioni che si trovano a dover combattere con bilanci sempre al limite se va bene (o in rosso nella maggior parte dei casi) per adeguarsi alle novità calate dall’alto.
Le associazioni sono sempre più trattate e viste come “aziende”. Mi perdoneranno i pazienti lettori che gestiscono imprese “reali” se si sorbiscono questo piccolo sfogo, ma i fatturati di una piccola No Profit che opera sul territorio locale promuovendo uno sport dilettantistico non sono certamente paragonabili ad una piccola o media impresa, tali da imporre la presenza “pagata” di un addetto di segreteria fisso e consulenti esterni come l’RSPP, il responsabile al Safeguarding, il commercialista anche per semplici invii di documenti che fino a pochi mesi fa potevano essere gestiti senza queste intermediazioni…. Balzelli, obblighi ed imposizioni legalizzate che si traducono in costi spesso non corrispondenti agli effettivi introiti.
Quando poi le proposte statutarie di una no profit sono esplicitamente volte agli strati deboli della popolazione -come soggetti disabili, caratterizzati da debolezze, fragilità, rischio di devianza o emarginazione in quanto figli di immigrati- il gap tra attività proposte sul campo e burocrazia rasentano l’indicibile.
Ricordo a chi è meno avvezzo al settore che promuovere la pratica dello sport significa incentivare un potente mezzo per socializzare, significa educare per mezzo di uno stile informale e dell’apprendimento tra pari, invita a buone abitudini e comportamenti sociali corretti, allontana dalla sedentarietà (E DAI TELEFONINI), fortifica il corpo e svaga la mente.
Aspetti questi che dovrebbero venire incentivati, non ostacolati. Pratiche che necessitano di maggior considerazione e di una cultura più radicata verso questi sani valori che lo sport (che non è ovviamente solo il calcio di default o lo sci e tennis quando si aprono le gabbie della moda a seguire il campione del momento) di base sostiene.
I costi di gestione dei cavalli
Sin dalla notte dei tempi il cavallo ha sempre avuto costi di gestione e mantenimento importanti, tanto da creare un evidente divario tra i nobili ed i ricchi che entravano nella cavalleria degli “equites” e coloro che non avevano possibilità economiche e che “andavano a piedi”.
Le cose non sono molto cambiate, anche se c’è da dire che una pratica equestre non agonistica, ovvero il mantenimento ed acquisto di un cavallo ordinario “da passeggiata” o da compagnia non è così impattante per molte economie familiari. E’ però chiaro che non è un impegno economico per tutti…
Quelli che sono i costi di gestione di un cavallo vanno poi ad aggiungersi alle tante attività “dietro le quinte” per provvedere al benessere e movimentazione dell’animale, attività spesso poco conosciute e tante volte date per scontate.
Un semplice esempio: nei periodi di pausa per ferie, ponti o feste comandate, sebbene non vi sia attività di ippoterapia, i cavalli vanno comunque movimentati, gestiti e puliti. Questo per garantire la loro tranquillità e desensibilizzazione agli stimoli esterni sin dal successivo primo giorno opportuno di lavoro dopo il periodo di pausa.
Tutte attività che regolarmente vengono svolte da tecnici ed assistenti in forma volontaristica nella nostra associazione.
Impegni questi, come molti altri necessari ma poco conosciuti dagli stessi fruitori e loro accompagnatori, ai quali non viene dato il giusto valore e soprattutto, riconoscimento a chi si mette a disposizione per il benessere animale e sicurezza dei loro congiunti nelle attività…
I rapporti con i genitori
Questo è un capitolo molto delicato perché non sempre si è in grado di far collimare aspettative con la realtà dei fatti e delle proposte equestri adeguate per le effettive competenze dei loro figli. Spesso viene percepita l’attività “a terra” (la gestione del cavallo, sua pulizia, alimentazione e attenzione al benessere del compagno a quattro zampe) come una pratica inutile, non necessaria o, peggio, di poco valore educativo/esperienziale. Per alcuni la sola attività in sella è quella che rispecchia il valore economico di quanto richiesto per la “lezione”, spesso con pretese di esercizi, velocità ed attività inadeguate e pericolose per i loro figli, con la sicumera che il cavallo sia una macchina e che sia facile montarci in sella, anche per un* figli* con evidenti difficoltà motorie o intellettive.
Genitori questi che, con la stessa prontezza, e di fronte a possibili incidenti, partono subito con la modalità iperprotettiva (quella che non avevano quando chiedevano di far andar da sol* il/la figli* al solo passo o, peggio ad andature più sostenute) volta ad ottenere un loro ritorno con minacce di azioni legali o apertura di un sinistro assicurativo.
Sottolineo che in vent’anni che è attiva la nostra associazione, solo due sinistri sono stati rimborsati per effettivo danno subito a seguito di una caduta, ovvero un “normale” braccio rotto con conseguente ingessatura, nulla di così trascendentale.
Genitori che, ben consci di aver firmato e condiviso un regolamento nel quale sono evidenziati i termini della proposta erogata, chiedono il “recupero” di una lezione non presenziata per influenza o malanni di stagione: pur di fronte all’evidenza che è stato accolto il punto contrattuale che non prevede recuperi o rimborsi ci provano ugualmente, spesso utilizzando “l’asso nella manica” della disabilità/fragilità del figli* -come se fossero gli unici soci caratterizzati da detta condizione in una associazione formata essenzialmente da praticanti disabili o caratterizzati da fragilità varie.
Ultimamente – e questo è il top delle mie personali recenti esperienze con alcuni ippo-genitori- ho anche assistito alla lectio magistralis su come compiere il mio lavoro da parte di un genitore tuttologo di un nuovo tesserato/praticante. Questo, come se io andassi da un notaio e indicassi al professionista come redigere un atto, ovvero imponessi ad un artigiano la modalità più opportuna nel costruire un muro o predisporre un impianto elettrico…
Con tutte queste criticità perché non cambio lavoro?
Molte volte mi faccio questa domanda. La risposta è nei sorrisi dei nostri bambini e ragazzi che vengono in maneggio a divertirsi, imparare e sfidare se stessi, le loro fragilità, paure, per andare un pochino più oltre i loro limiti ed evidenti difficoltà.
La risposta è nell’impegno e passione che vedo nel dare attenzione al loro compagno animale allargando di un bel po’ un cerchio nella guida piuttosto che stringerlo per metterlo in difficoltà.
La risposta è nell’autostima e nell’efficacia personale che vedo crescere e maturare di lezione in lezione attraverso la magica e potente facilitazione di una relazione pura, disinteressata e proattiva con il Nobile Animale.
La risposta è nelle competenze trasversali (le soft skills) e residue che vengono plasmate e sviluppate attraverso le attività a terra e la pratica in sella, il tutto non con l’obiettivo di acquisire abilità finalizzate al nostro “piccolo mondo antico” ma da riproporre, generalizzandole, nei contesti “veri”, quelli fuori dal maneggio, quelli volti ad essere persone efficaci nell’attraversare una strada, relazionarsi con l’altro, saper riconoscere e rispettare le regole, saper gestire le proprie emozioni e gli imprevisti.
La risposta è in quelle realtà che credono nel nostro progetto e lo supportano sia economicamente che mettendo a disposizione il know-how di loro dipendenti e collaboratori, spesso aderendo alle nostre proposte di teambuilding aziendale con i cavalli proprio perché certi che i proventi di dette collaborazioni andranno nelle nostre attività istituzionali di ippoterapia o equitazione integrata.
La risposta è nella passione per il Nobile Animale, che mi permette di poter esprimere al meglio le mie competenze ed abilità professionali acquisite in anni di esperienza, prima come cavaliere semiprofessionista, poi come tecnico, sia equestre che in educazione speciale.
Perché quello che tanti di noi fanno nel Sociale – e con i cavalli in particolare- è rendere i nostri praticanti soggetti attivi, consapevoli del proprio potenziale, ma anche dei loro limiti, ed imparare a conoscere il punto nel quale ci si deve fermare per auto proteggersi o per chiedere aiuto.
Per facilitare lo sviluppo consapevole delle loro personalità ed aspirazioni in un contesto protetto e dall’alto valore educativo ed esperienziale.
Per dar loro le basi di essere parte del mondo e non un mondo a parte!