PER NECESSITÀ O PER PASSIONE
Un articolo di Alessandro Carli
Chi, da piccolo/a, non ha mai sognato di fare un certo particolare lavoro?
Il poliziotto, l’astronauta, la ballerina, l’eroe, la cantante, il vigile del fuoco, l’infermiera…
È successo anche a te, immagino. Magari sei rimasto colpito dal protagonista di un film che faceva un determinato lavoro, tramite il quale riusciva a fare cose straordinarie, tipo salvare vite o mettere in galera i cattivi o esprimere un determinato talento.
E ti ricordi come ti sentivi nell’immaginarti a diventare come quel personaggio? E magari, a carnevale, sceglievi il costume che più si avvicinava a quello che faceva il tuo eroe…
Poi, i tuoi genitori ti richiamavano all’ordine: dovevi rifare il letto, dovevi studiare, dovevi lavarti i denti… che palle!
Avanzamento veloce ad oggi.
Non vivi più con quei tuoi genitori che ti dicevano quello che dovevi fare… ciò nondimeno, devi continuare a fare quelle stesse cose di quando eri piccolo e molte altre ancora, tipo quelle che daresti un braccio pur di non fare.
Eppure le fai perché sai che DEVI farle, poiché nessuno le farà per te. E, comunque, un po’ alla volta finisci per non pensarci più di tanto, finché non ti accorgi che quelle che una volta erano per te incombenze non ti pesano nemmeno più… anzi, provi un sottile piacere nel vedere tutto in ordine, tutto programmato, tutto così desolatamente scontato.
E guai se qualcosa o qualcuno osa creare scompiglio in cotanta perfetta… routine!
Si cresce… si sceglie…
Ma che fine ha fatto il bambino che sognava di fare qualcosa di speciale, da grande, qualcosa a cui pensava in continuazione, dicendo pure ai sassi quello che un giorno sarebbe riuscito a fare?
Nella sua crescita avrà sicuramente cambiato idea decine di volte… ma arriva prima o poi il momento in cui deve prendere una decisione, quando ad esempio, deve scegliere quale indirizzo prendere alle superiori e in seguito, forse, quale facoltà frequentare all’Università.
In quale momento si è spento il sogno? Quand’è che ha deciso che fosse arrivata l’ora di – come si dice – guardare in faccia la realtà… o meglio, quella realtà che ha cominciato a cucirsi addosso da qualche tempo per evitare imprevisti e brutte sorprese?
Il fatto è che non ha rinunciato a qualcosa: ha rinunciato a sentirsi come si sentiva quando da bambino faceva finta di essere qualcosa di straordinario, ritenendo che quelle sensazioni fossero puerili e totalmente fuori dalla realtà.
Ma quale realtà?
Per il bambino che è stato, quella non era una puerile fantasia: lui stava già vivendo le straordinarie avventure di colui che senza dubbio avrebbe fatto la differenza, poiché era quello che sentiva dentro di sé.
I suoi sentimenti, le sue emozioni non erano meno vere di quelle dell’ingegnere o del dottore che riceve la laurea e che si prepara a dare il suo contributo per fare di questo un mondo migliore.
Una questione di atteggiamento
Non esistono lavori di serie A e di serie B, lavori importanti o meno importanti: se esiste un mercato per un certo lavoro, è importante. Puoi realizzare un’astronave che ti porta su Giove, ma lavorare con cura i bulloni che tengono insieme quell’astronave farà la differenza tra arrivare sani e salvi sul pianeta o perdere i pezzi lungo il viaggio.
Dirò una cosa banale, ma non scontata, e cioè che l’atteggiamento fa la differenza.
Mi viene in mente quel famoso aneddoto con un tizio che, ai tempi della costruzione della Basilica di San Pietro a Roma, si avvicina ad uno scalpellino per chiedergli cosa stesse facendo. Questi, senza togliere lo sguardo dal suo lavoro, alza le spalle e risponde annoiato che stava facendo quello che gli era stato chiesto.
Poi va da un altro scalpellino, poco più in là, e gli fa la stessa domanda. Questa volta, il lavoratore alza lo sguardo fiero verso il tizio, con una straordinaria luce sul volto e gli rispose: “Sto contribuendo a costruire uno dei più favolosi monumenti mai visti, per la gloria di Dio!”
Stesso lavoro, stesso stipendio, stessa condizione… opposto atteggiamento.
Il primo lavorava per necessità, l’altro per uno scopo… e da qui, per passione.
Si dice che il lavoro nobiliti l’uomo… ma è una falsità: è l’uomo che nobilita il lavoro, ma come fa, uno che lavora unicamente per necessità, a nobilitare il lavoro che svolge?
In effetti, ci sta che si debba lavorare per necessità, ad esempio per provvedere ai fabbisogni della propria famiglia, cosa già nobile di per sé, ma è nel momento in cui lo vedi solo come sacrificio che il lavoro perde la sua sacralità!
Mettere a fuoco la scelta
Se si ha la possibilità di fare qualcosa di diverso, ci s’impegna al 100% per perseguire quell’obiettivo. In caso contrario, occorre trovare un buon motivo per continuare con il proprio lavoro, dandogli un significato che lo renda meritevole ai propri occhi.
Queste sono le sole due opzioni valide e dignitose disponibili, poiché l’alternativa è il continuo lamentarsi, recriminare, invidiare, incolpare, deresponsabilizzarsi…
Ha senso anche solo definirla alternativa?
Se rispondi sinceramente alle seguenti domande, ti fai subito il quadro della situazione e ti metti eventualmente nella condizione di apportare qualche aggiustamento nel rapporto che hai con il tuo lavoro.
– Quanto ti senti coinvolto/a nel lavoro che stai facendo?
– Cosa ti entusiasma di più del tuo lavoro?
– In che misura ti senti allineato col “significato” che hai associato al tuo lavoro?
– Se stai lavorando solo per “necessità”, cosa ti sta impedendo di passare a qualcosa di più significativo per te?
– Cosa implicherebbe, per te e per coloro che ti sono più vicini e di cui sei responsabile, passare ad un’attività che ti “prenderebbe” di più?
– Hai già in mente quale potrebbe essere quest’attività?
– E se non puoi assolutamente fare altro che quello che stai facendo, quale nuovo atteggiamento puoi assumere per renderlo più appassionante?
E’ solo un inizio… come ogni nuova avventura.
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