QUANDO IL CROLLO DIVENTA IL VERO MESSAGGIO
Un articolo di Pasquale Di Matteo
Trenta secondi.
Sembrano pochi, ma, in un mondo frenetico, dove un microsecondo di latenza può costare milioni in borsa e qualcuno interrompe relazioni attraverso uno smartphone, trenta secondi di silenzio davanti al pubblico sono un’eternità.
Sono l’equivalente di un buco nero che inghiotte la sala. Non dovrebbe mai accadere, soprattutto se non voluto, non gestito, non pianificato per uno scopo.
Beh, mi è successo. A me che ho studiato Comunicazione per anni e che ho lavorato in questo campo in tre continenti.
Sono crollato. La voce si è spezzata come un ramo secco calpestato in un bosco d’inverno. E ho lasciato i presenti davanti a me, bloccato dal silenzio e dal mio tentativo di soffocare le lacrime.
Ho smesso di parlare. E in quel vuoto, mentre cercavo di ricomporre i frammenti della mia professionalità, ho sentito qualcosa di inaspettato: non il giudizio che mi sarei aspettato, ma una connessione profonda con il pubblico, un’empatia viscerale.
L’applauso che ne è scaturito non era di cortesia, ma è stato un abbraccio, una pacca sulla spalla d’incoraggiamento e di comprensione.
Ma facciamo un passo indietro, nel backstage della vita reale, dove non ci sono luci di scena ma solo i neon tremolanti delle sale d’attesa. Mentre ero lì, ben vestito, a parlare di arte e di artisti, la mia mente era ostaggio di due letti d’ospedale.
In uno c’era mio padre, alla vigilia di un intervento per un cancro all’intestino; nell’altro mio suocero, allettato da un ictus una settimana prima.
Chi ha vissuto queste dinamiche lo sa, conosce l’odore metallico della paura, che ti si incolla al palato e non se ne va con un sorso d’acqua. E la stanchezza per le dinamiche che seguono questi momenti va oltre il fisico.
Così, sono crollato, prima di riprendermi e portare a termine il mio lavoro. Eppure, da quei trenta secondi di commozione, è arrivato comunque un successo.
Perché?
LA CRISI DELLA PERFEZIONE NELL’ERA DIGITALE
Viviamo in un’epoca di post-verità e di iper-performance.
I nostri social sono vetrine curate di perfezione e successi, i nostri politici sono avatar costruiti a tavolino, le nostre analisi spesso ignorano il fattore umano.
Ma il pubblico, la “platea di astanti”, è assuefatto alla finzione. Ha sviluppato anticorpi potentissimi contro le sciocchezze.
Quando mi sono commosso, quando ho perso il controllo, ho inavvertitamente mostrato che ero vero, che non stavo fingendo, che le mie parole non erano costruite da ripetizioni per impararle a memoria.
Ho smesso di essere il “Professore”, il “Critico”, l’”esperto” e sono tornato a essere un essere umano spaventato. E, in quel preciso istante, l’audience ha smesso di essere una massa indistinta ed è diventata un gruppo di singoli individui, ognuno con il proprio padre malato, con le proprie paure inconfessabili, con le proprie cicatrici nascoste sotto camicie ben stirate.
L’applauso non era per me. Era per noi tutti, noi esseri umani. Era il riconoscimento collettivo che, sotto la superficie e la maschera del ruolo sociale, abbiamo tutti sangue nelle vene.
GESTIRE L’INGESTIBILE: MANUALE DI SOPRAVVIVENZA EMOTIVA
Mi chiederete come gestire tutto questo. La manualistica classica vi direbbe: respirazione diaframmatica, grounding, bere un sorso d’acqua, cercare lo sguardo amico in prima fila. Tutte tecniche valide, certo, e le ho usate.
Cercare la battuta per stemperare? Sì, è un classico meccanismo di difesa, un modo per dire: “Ehi, sono ancora io ed è tutto a posto.”
Tuttavia, vi dico che, all’atto pratico, quando sei travolto dalle emozioni e dalle dinamiche della vita, la tecnica serve solo a non svenire.
La vera gestione è l’accettazione della nostra vulnerabilità.
Se cercate di ricacciare indietro le lacrime con la forza bruta, il pubblico percepirà la vostra rigidità come falsità o arroganza. Se invece lasciate che l’onda vi attraversi, se avete il coraggio di rimanere in quel silenzio imbarazzante senza scappare, accade il miracolo. La vulnerabilità diventa autorevolezza.
Non c’è nulla di più potente, in termini di capitale sociale, di un leader che mostra la propria umanità senza farsene schiacciare. È la differenza tra un politico che legge un gobbo e chi sente davvero il peso della storia.
L’ULTIMA VERITÀ
In un futuro prossimo dominato dall’Intelligenza Artificiale, dove ogni testo, ogni immagine e ogni voce potrà essere sintetizzata alla perfezione, l’unica cosa che non potrà essere falsificata è il crollo emotivo.
L’imperfezione diventerà il nuovo certificato di garanzia dell’umano.
Con quei trenta secondi di commozione, con il mio silenzio, non ho “gestito” una crisi, ma ho offerto, involontariamente, l’unico contenuto che nessuno potrà mai copiare: la mia verità.
Siate professionali, preparatevi, studiate fino a consumarvi gli occhi.
Ma quando la vita vi presenta il conto e le ginocchia cedono, non abbiate paura di lasciar vedere le crepe, perché è da lì che entra la luce.
Restare veri e genuini non è solo un consiglio etico, ma, paradossalmente, il miglior stile di comunicazione che possiate adottare.
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Dott. Pasquale Di Matteo
Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.
È vicedirettore del magazine culturale Tamagozine.org.

