UN ASSIOMA DELLA PRAGMATICA DELLA COMUNICAZIONE AFFERMA CHE “NON SI PUÒ NON COMUNICARE”. IO AGGIUNGO CHE “NON SI PUÒ NON ESSERE ATTACCATI SE COMUNICHI”
Un articolo di Pasquale Di Matteo
Paul Watzlawick, genio della pragmatica della comunicazione, ha dimostrato che ogni comportamento è comunicazione. Il silenzio, una postura, un’espressione…
Tutto parla.
Eppure, di pari passo, nel momento in cui scegliamo di comunicare attivamente, veicolando un’opinione, un’idea, un libro, un’opera…, ci esponiamo a un universo parallelo di frustrazione e incompetenza, di quelli che dalla vita ricevono solo sconfitte e sentono lo stomaco contorcersi nel vederti spavaldo, deciso, passionale… normale.
Quando comunichiamo qualcosa di noi, che sia un post, un libro, una canzone, un’opera, una recita, un’idea, scendiamo in arena con il nostro studio, la nostra passione, la personalità, la nostra faccia. La nostra identità che ci distingue dalla massa.
E, come un riflesso pavloviano, si materializza la moltitudine. Quella pronta a criticare non il contenuto della tua comunicazione, ma l’autore. Spesso offendendo, perché sono privi di argomentazione e, spesso, nemmeno conoscono la materia di cui stai trattando, se non per sentito dire.
Questo fenomeno è il sintomo di un malessere psico-sociale preciso, prevedibile e, scientificamente, affascinante.
LA SINDROME DI DUNNING-KRUGER: L’ECCESSIVA ARROGANZA DELL’IGNORANZA
Perché una persona, priva di competenze specifiche in un campo, si sente non solo autorizzata, ma qualificata a giudicare aspramente chi quel campo lo vive e lo studia?
La risposta ha un nome e un cognome: Sindrome di Dunning-Kruger.
Gli psicologi David Dunning e Justin Kruger hanno dimostrato come gli individui con scarse competenze in un dominio tendano a sopravvalutare sistematicamente le proprie abilità.
Il paradosso è duplice, poiché la loro incompetenza li priva proprio di quella capacità metacognitiva necessaria per riconoscere i propri limiti. Sono intrappolati in una gabbia di ignoranza della quale non possiedono la chiave, perché non sono nemmeno consapevoli che la gabbia esista.
Questi individui non commentano per aggiungere valore, ma lo fanno per un bisogno psicologico profondo di riaffermare un’autostima finita sotti i tacchi.
Spesso sono “persone prese a schiaffi dalla vita”, che trovano una vendetta momentanea nell’ergersi a giudici supremi di chi ha avuto il coraggio di esporre un’opinione, un’analisi, o producendo un’opera d’arte, un libro, una musica.
I GIUDICI INCOMPETENTI: QUANDO IL VOTO “2” È UNA MEDAGLIA
Il culmine di questa tragicommedia è rappresentato dai “più audaci”. Quelli che, con una sicurezza disarmante, ti assegnano un voto. “Voto 2, perché non capisci niente”… “3, perché non è come credi tu”.
Qui, lo ammetto, sorrido, quando mi imbatto in questi commenti. Perché mi sembrano bambini dell’asilo.
Questo comportamento è, infatti, pura proiezione psicologica e un ritorno a dinamiche infantili dalle quali tali soggetti non sono mai riusciti a svincolarsi.
È il bisogno di ricreare il setting scolastico, dove l’insegnante – ruolo a cui ambiscono inconsciamente – ha il potere di giudicare e punire.
Ma qui, fuori dalle aule, non siamo a scuola. Quel voto non misura il tuo valore. Misura esclusivamente la loro profonda insicurezza e il desiderio patologico di controllo.
Quel “2” e quel “3” sono armi che questi individui utilizzano per abbassare il tuo livello in modo tale da sentirsi più vicini.
La loro sentenza è la prova definitiva della tua superiorità intellettuale ed emotiva.
LA RISPOSTA MIGLIORE, L’ARTE SUPREMA DELL’IGNORARE ATTIVAMENTE
“Come reagire?”, mi chiedono spesso. La risposta, frutto dei miei studi e di esperienza sul campo, è una sola: I G N O R A R E .
Ma attenzione. Ignorare non è passività. È un’azione strategica consapevole e potentissima.
Infatti, rispondere, anche per confutare punto su punto, significherebbe concedere dignità dialettica a un attacco che di dialettico non ha nulla. È come giocare a scacchi con un piccione: abbatterà i pezzi, defecherà sulla scacchiera e se ne andrà convinto di aver vinto. E tu avrai solo perso tempo.
Le giornate sono fatte di 24 ore. Un’ora spesa a discutere con un troll è un’ora sottratta allo studio, alla creazione, alla tua vita, al lavoro. È un costo opportunità altissimo.
Quel tempo è la risorsa non rinnovabile più preziosa che hai. Spenderla con chi non merita la tua attenzione sarebbe un autogol esistenziale.
VINCI SENZA COMBATTERE
L’obiettivo di questi personaggi è ottenere una tua reazione. Ancora meglio se scomposta.
Al contrario, la tua non-reazione è la loro sconfitta totale. È uno scacco matto psicologico, perché fai scomparire subito il loro palcoscenico.
La tua indifferenza strategica li disintegra più di mille repliche.
COMUNICA CHI SEI A CHI CONTA
Le persone culturalmente e intellettualmente evolute, leggendo una discussione, riconoscono immediatamente la dinamica. Chi aggredisce verbalmente, chi commenta fuori tema, e chi emette giudizi su di te, senza argomentare nel merito delle tue considerazioni, perde automaticamente credibilità.
Chi mantiene la calma, fa spallucce e sorride, dimostra una superiorità non solo sull’argomento, ma sull’intera situazione.
La tua autorevolezza cresce agli occhi degli osservatori giusti, quelli che contano davvero. Il giudizio degli altri non ti serve e non conta.
LA TUA PACE INTERIORE È L’UNICO GIUDICE
Ricorda sempre, come ultimo e più importante baluardo psicologico, che ciò che gli altri pensano di te è un problema loro.
Non è in tuo potere cambiare il loro giudizio e non è nemmeno compito tuo. Il tuo compito è perseguire la verità, il tuo pensiero, è esporti, comunicare con coraggio.
La loro incapacità di recepire non è un tuo fallimento, ma un loro limite.
Perciò, la prossima volta che un “esperto” ti assegna un “2” per un tuo pensiero, un post, un’analisi, un lavoro…, sorridi, perché quello non è un voto, ma un attestato della loro incompetenza.
E la tua scelta di non rispondere non è una sconfitta, ma l’unica vittoria possibile, perché ti riconferma che il tuo tempo, la tua intelligenza e la tua pace interiore valgono infinitamente di più del loro giudizio.