Faccio quindi sono. Ma é davvero così?
“Faccio, quindi sono.”
Viviamo in una società profondamente performativa, dove il nostro valore sembra dipendere da quanto riusciamo a mostrarlo bene.
Performiamo nel lavoro, nelle relazioni, nel modo in cui comunichiamo il nostro benessere. Perfino nel modo in cui ci riposiamo.
Il riposo non è più un momento di ricarica,ma spesso un tentativo di anestesia:scrolliamo, accumuliamo stimoli,distratti dal senso di colpa di non stare producendo.
Eppure, questo meccanismo ha un paradosso profondo: proprio quando cerchiamo di performare costantemente, entriamo in una condizione di stanchezza cronica che ci impedisce di performare davvero.
È una spirale che ci svuota, ci disconnette dal piacere e dal senso del nostro lavoro, fino a farci percepire il valore solo attraverso il fare.
Nelle sessioni di coaching osservo spesso tutto questo: persone creative, leader, professionistə con responsabilità importanti. Tutti, in modi diversi, sentono il peso del fare per non deludere, del fare per non fallire.
E riconosco gli effetti di questa cultura anche su di me, perché nessuno ne è completamente immune.
Serve un’attenzione costante, una “micro iniezione di consapevolezza”, per vedere questi meccanismi e imparare a cambiarli, un passo alla volta.
Cambiare questa cultura — dal faccio, quindi sono al- sono, quindi posso fare —è il passo più importante per costruire un modo di lavorare più umano e sostenibile.
Solo ritrovando il contatto con noi stessə, con il riposo, con la presenza, possiamo davvero eccellere in ciò che offriamo: non attraverso la pressione costante, ma grazie alla qualità della nostra energia e della nostra attenzione.
Il benessere non è un lusso,
è la base della performance.
Dance Artist & Holistic Coach

